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Il ruolo storico della classe operaia

Il ruolo storico della classe operaia

di Manuel Santoro

L’intero percorso storico dell’umanità, i passaggi da una tipologia di società a un’altra sono riconducibili sempre a profonde modifiche delle condizioni materiali, reali, dell’ambiente circostante e, quindi, al progresso della produzione dei mezzi di sussistenza.

Morgan ci insegna che “l’abilità in questa produzione è decisiva per il grado di superiorità degli uomini e del loro dominio sulla natura. Soltanto l’uomo, tra tutti gli esseri, è giunto ad un quasi incondizionato dominio sulla produzione di alimenti. Tutte le grandi epoche di progresso umano coincidono, più o meno direttamente, con epoche di allargamento delle fonti di sostentamento” [vedi La società antica, ossia ricerche sulle linee del progresso umano dallo stato selvaggio, attraverso la barbarie, alla civiltà, di Lewis H. Morgan]. Ciò significa che le transizioni di società avvengono nel momento in cui cambiano i processi e le modalità di produzione. Per essere più precisi, “secondo la concezione materialistica, il momento determinante della storia, in ultima istanza, è la produzione e la riproduzione della vita immediata. Ma questa è di duplice specie. Da un lato, la produzione dei mezzi di sussistenza, di generi per l’alimentazione, di oggetti di vestiario, di abitazione e di strumenti necessari per queste cose; dall’altro, la produzione degli uomini stessi: la riproduzione della specie.” [1]

Se, quindi, il passaggio da uno stadio all’altro all’interno dei diversi stati della storia non scritta, dalla storia non scritta alla storia scritta, e all’interno di quest’ultima, il passaggio dalla storia antica a quella feudale, e dalla società feudale alla società borghese è dipeso, come condizione necessaria, dalla produzione, come si arriva al socialismo il quale rimane l’indiscutibile obiettivo politico della classe operaia sfruttata dalla borghesia?

Iniziamo con il dire che la transizione di società, da una ormai arcaica e reazionaria ad un’altra piena d’energia e rivoluzionaria, richiede lo smantellamento di tutti i vincoli sociali al tramonto. Tale transizione non lascia nulla al caso ma destruttura, diciamo pure distrugge, le relazioni strutturali e sovrastrutturali della società in putrefazione e ne crea di nuove, senza soluzione di continuità. Cambiano i rapporti sociali di produzione, cambiano i ruoli e le condizioni materiali degli attori della produzione, cambiano le classi ma, sino al completamento della costruzione definitiva del socialismo il cui obiettivo è la distruzione delle classi, la divisione della società in classi sociali rimane, così come rimane la lotta tra queste classi antagoniste e dagli interessi divergenti. 

La destrutturazione violenta della società in decadenza, vecchia, appartenente al passato, che tenacemente cerca di resistere alimentando la reazione, e la successiva ma parallela strutturazione della società nuova, rivoluzionaria in quel frangente storico, è un ciclo costante che la storia certifica. Engels chiarisce che “la storia non può trovare una conclusione definitiva in uno stato ideale perfetto del genere umano; una società perfetta, uno Stato perfetto sono cose che possono esistere soltanto nella fantasia; al contrario, tutte le situazioni storiche che si sono succedute non sono altro che tappe transitorie nel corso infinito dello sviluppo della società umana da un grado più basso a un grado più elevato.” [2]  

La prima chiave di lettura è, quindi, nella maturazione delle forze produttive. Difatti, trasformate, sviluppate, maturate le forze produttive all’interno di determinati rapporti di produzione, ovvero all’interno di una società a un grado di sviluppo storico determinato, tali rapporti risultano obsoleti e l’evoluzione della società inevitabile e del tutto necessaria. “I mezzi di produzione e di scambio sulla cui base si è formata la borghesia furono prodotti nella società feudale. A un certo stadio di sviluppo di questi mezzi di produzione e di scambio, i rapporti all’interno dei quali la società feudale produceva e scambiava, vale a dire l’organizzazione feudale dell’agricoltura e di manifattura, in una parola i rapporti feudali di proprietà, non corrisposero più alle forze produttive ormai sviluppatesi. Inceppavano la produzione invece di promuoverla. Si erano trasformati in altrettante catene. Esse dovevano essere spezzate e furono spezzate.” [3]

I rapporti di produzione, i rapporti di proprietà tipici di una determinata società inevitabilmente vengono sradicati dal passato per diventare presente poiché sono già nel presente le forze produttive sviluppatesi all’interno dei rapporti di proprietà del passato. Se alla società borghese o capitalistica dovrà seguire la società socialista, ciò significa che l’evoluzione, la maturazione delle forze produttive dovrà avvenire dentro la società borghese, ovvero dentro i rapporti di produzione capitalistici. Sarà quando le forze produttive avranno raggiunto un più elevato stadio di sviluppo non più compatibile con i rapporti di proprietà all’interno dei quali la società capitalistica produce e scambia, che avverrà il cortocircuito tra le evolute forze produttive e i rudimentali rapporti di produzione. Il passaggio da una società ad un’altra è sempre la transizione cruenta creata dai cortocircuiti tra le più moderne forze produttive e i meno moderni rapporti di proprietà. E tali passaggi sono momenti storici rivoluzionari.

In questo senso, la società feudale ha un grado di sviluppo delle forze produttive superiore alla società antica, così come la società capitalistica è superiore rispetto a quella feudale. La società socialista avrà un grado di sviluppo delle forze produttive superiore rispetto alla società borghese ed è per questo che la consideriamo la prossima società: la società superiore.

Il socialismo, in quanto prima fase della società comunista, ha una definizione precisa, ovvero, è quella società che emerge dal capitalismo, con tutte le sue ingiustizie, inefficienze, storture e iniquità, e in cui tutti i mezzi di produzione sono di proprietà comune. E la società, in termini generici, è un complesso di rapporti sociali di produzione e “ognuno di questi complessi caratterizza, nello stesso tempo, un particolare stadio di sviluppo nella storia dell’umanità.” [4]

In questo passaggio del saggio Lavoro salariato e capitale, Marx è chiaro quando afferma che “i rapporti sociali di produzione si trasformano con la trasformazione e con lo sviluppo dei mezzi materiali di produzione, delle forze produttive”, e che tali “rapporti di produzione costituiscono nel loro assieme ciò che riceve il nome di rapporti sociali, di società, e precisamente una società a un grado di sviluppo storico determinato.”

La seconda chiave di lettura è la necessità di spezzare la macchina burocratica e militare borghese. Naturalmente, consideriamo questo monito di Marx per singolo Paese, e ciò richiede un chiarimento. I tempi storici in cui Marx ed Engels vivevano, lottavano, studiavano e scrivevano erano i tempi della libera concorrenza ed era chiaro anche ai due giganti del socialismo come la costruzione del socialismo in un solo Paese non fosse possibile. Siamo, ovvero, nella fase storica preimperialista, del capitalismo premonopolistico, “nel periodo in cui la società borghese nel suo insieme si sviluppava seguendo una linea ascendente.” [5]

Engels, difatti, nei suoi Principi del Comunismo dichiara che la rivoluzione operaia “non potrà verificarsi in un singolo paese.” Ma nel passaggio dal capitalismo premonopolistico, il capitalismo della libera concorrenza per intenderci, al capitalismo monopolistico, ovvero all’imperialismo, tale impossibilità decade poiché, nella nuova fase, lo sviluppo del capitalismo segue una linea discendente. In particolare, la possibilità della costruzione del socialismo in un solo Paese è ora, sin dai tempi di Lenin, possibile sulla base della legge dello sviluppo ineguale del capitalismo: “l’ineguaglianza dello sviluppo economico e politico è una legge assoluta del capitalismo. Ne risulta che è possibile la vittoria del socialismo all’inizio in alcuni paesi o anche in un solo paese capitalista, preso separatamente.” [6]

Posizione questa di Lenin, e non di Stalin, il quale però esplicitamente e costantemente difende questa posizione, e il leninismo, nei decenni successivi contro gli attacchi degli anti-leninisti come Trotzki, Kamenev e Zinoviev. Posizione che si basa sulla consapevolezza di un capitalismo, nella sua fase monopolistica, in putrefazione, che seppellisce nel passato il vigore della libera concorrenza. “Ricordiamo su che cosa è basata la sostituzione della moderna epoca imperialista alla precedente epoca pacifica del capitalismo: sul fatto che la libera concorrenza ha ceduto il posto alle unioni monopolistiche dei capitalisti e che tutto il globo è stato ripartito. È chiaro che questi due fatti (e fattori) hanno effettivamente un significato mondiale: il libero commercio e la concorrenza pacifica erano possibili e necessari finché il capitale poteva ampliare senza ostacoli le sue colonie e conquistare in Africa e altrove delle terre non ancora occupate, fino a quando la concentrazione del capitale era ancora debole e inoltre non esistevano imprese monopolistiche, imprese così grandi da dominare completamente un dato ramo dell’industria. Il sorgere e lo svilupparsi di tali imprese monopolistiche…rendono impossibile la passata libera concorrenza, poiché le minano il terreno sotto i piedi, mentre la spartizione del globo costringe a passare dall’espansione pacifica alla lotta armata per una nuova divisione delle colonie e delle sfere d’influenza.” [7]

Ed è ciò che ci serve conoscere, ovvero che oggi la costruzione del socialismo in un solo Paese è possibile. Anzi, è doveroso e ciò richiede 1) la rivoluzione socialista e 2) la dittatura del proletariato.

Difatti, è con la rivoluzione socialista che si demolisce la macchina statale borghese: “l’idea di Marx è che la classe operaia deve spezzare, demolire la ‘macchina statale già pronta’, e non limitarsi semplicemente a impossessarsene. Il 12 Aprile 1871, vale a dire precisamente durante la Comune, Marx scriveva a Kugelmann: ‘Se tu rileggi l’ultimo capitolo del mio 18 Brumaio troverai che io affermo che il prossimo tentativo della rivoluzione francese non consisterà nel trasferire da una mano a un’altra la macchina militare e burocratica, come è avvenuto fino ad ora, ma nello spezzarla e che tale è la condizione preliminare di ogni reale rivoluzione popolare sul Continente. In questo consiste pure il tentativo dei nostri eroici compagni parigini’.” [8]

La classe operaia che provi ad avviarsi verso il socialismo senza prevedere l’azzeramento della macchina burocratica e militare borghese, cadrebbe inesorabilmente in una trappola mortale poiché davanti a loro si aprirebbe solo la strada del “colpo di mano” orchestrato dalle forze reazionarie interne e esterne al Paese. Che tale colpo di mano avvenga velocemente oppure si instauri una sorta di debolezza politica costante in cui le forze reazionarie cercano in tutti i modi di eliminare presidenti, democraticamente eletti, è indifferente. La storia passata e recente di troppi Paesi testimonia che il mantenimento dell’impalcatura, burocratica e militare, borghese è un errore tattico gigantesco che porta al baratro.

Il monito di Marx di “spezzare la macchina burocratica e militare” borghese deve sempre essere tenuto a mente. Certamente, distruggere la macchina burocratica e militare borghese sostituendola con una macchina socialista richiede tempo, e richiede soprattutto preparazione, teorica e tecnica, da parte della classe operaia prima e durante la dittatura del proletariato. Come spezzare, quindi, la macchina borghese? “Il primo decreto della Comune fu la soppressione dell’esercito permanente, e la sostituzione a esso del popolo armato.” [9]

Questo passaggio rimane fondativo, e non si può eludere se si vuole avviare e sperare di completare la costruzione del socialismo nel Paese. Il socialismo è la società che si basa sulla proprietà comune dei mezzi di produzione e non esiste capitalista, borghese che sia d’accordo con i lavoratori nel fare un passo indietro per il ‘bene comune’. Sopprimere, quindi, l’esercito permanente e sostituirlo con gli operai a difesa del Paese socialista non si può perseguire per via elettorale e parlamentare. Tale sostituzione necessita, difatti, di una presa di coscienza, di forza e di decisione da parte degli operai assolutamente straordinaria che un processo dormiente, sedentario di tipo elettoralistico non può accendere. Il parlamentarismo deve essere sempre combattuto in quanto degenerazione latente dei processi rappresentativi borghesi. Sostituire la macchina burocratica e militare, e annientare il parlamentarismo, però, non significa affatto distruggere le istituzioni rappresentative e democratiche. Il socialismo espande alla maggioranza, ai più, la democrazia, non più confinata nel recinto degli interessi della minoranza borghese. La macchina burocratica e militare borghese, essendo parte dell’organizzazione borghese, segue sempre il padrone anche nei periodi in cui l’opposizione politica e sociale prende il potere per via elettorale. Nel socialismo, invece, il potere politico è in mano degli operai che devono gestirla democraticamente, nel senso socialista e non capitalistico.

La transizione dalla società capitalistica a quella socialista implica, quindi, modifiche profonde, strutturali che devono trovare la classe operai pronta. Non si tratta solo di sostituire la macchina burocratica e militare con il corrispettivo proletario, ma anche i metodi e i processi dovranno essere molto diversi. I processi di eleggibilità e, soprattutto, di revocabilità di tutti i funzionari vanno nella direzione di una più completa democratizzazione all’interno di uno Stato proletario con la sua organizzazione democraticamente decisa dagli operai, ovvero dalla maggioranza del popolo.

 

[1] F. Engels, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, Roma, Editori Riuniti, 2019, p.36

[2] F. Engels, Ludwig Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca, Napoli, La città del sole, 2009, p.56

[3] K. Marx, F. Engels, Manifesto del partito comunista, Roma-Bari, Editori Laterza, 2018, p. 12-13

[4] K. Marx, Lavoro salariato e capitale, da marxpedia, capitolo III, p. 13

[5] J. Stalin, Rapporto alla VII sessione plenaria del Comitato Esecutivo dell’Internazionale Comunista (1926), edizioni Rinascita, Opere Complete, vol. 9, 1955

[6] V. Lenin, Opere complete, vol. 21, Editori Riuniti (1966), p.314

[7] Ivi, p.203

[8] V. Lenin, Stato e rivoluzione, Red Star Press, 2015, p.54-55

[9] Ivi, p.58

 

Ultima modifica ilGiovedì, 19 Gennaio 2023 19:54
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