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La grande lotta socialdemocratica è su tre fronti: teorica, politica ed economica. Engels docet!
di Manuel Santoro
Il nostro compito è riportare il socialismo a casa, dopo troppi decenni di distorsioni e tradimenti. Il nostro compito è chiaro e sarà una lunga battaglia teorica e politica contro quella collettività di sedicenti socialisti che intendono il socialismo come strumento del capitale per l’addolcimento coatto dell’esistenza schiavizzata dell’essere vivente. Naturalmente non è così.
La lotta, di conseguenza, sarà su tre fronti e vale, quindi, la pena ricordare “le osservazioni di Engels sull’importanza della teoria nel movimento socialdemocratico. Secondo Engels, esistono non due forme della grande lotta socialdemocratica (politica ed economica) - come si pensa abitualmente fra noi -, ma tre, ponendosi accanto a queste anche la lotta teorica”[1].
E' proprio per la lotta teorica che esiste la nostra rivista, L'Ideologia Socialista.
Vale la pena riportare a questo punto quanto scrisse Engels sull’attacco concentrico che le tre linee (teorica, politica e pratico-economica) portano a benificio del movimento socialista: “Gli operai tedeschi hanno due vantaggi essenziali sugli operai del resto dell’Europa. In primo luogo, essi appartengono al popolo dell’Europa più portato alla teoria ed hanno conservato il senso teorico, che i cosiddetti "uomini colti" della Germania hanno totalmente perduto. Senza il precedente della filosofia tedesca e precisamente della filosofia di Hegel, il socialismo scientifico tedesco - l’unico socialismo scientifico che sia mai esistito - non sarebbe mai nato. Se tra gli operai non ci fosse stato questo senso teorico, il socialismo scientifico non si sarebbe mai cambiato in sangue e carne in così grande misura come è effettivamente accaduto. E quale incommensurabile vantaggio sia questo si rileva, da una parte, se si tenga presente l’indifferenza verso tutte le teorie, che è una delle cause principali per cui il movimento operaio inglese, malgrado tutta la notevole organizzazione dei singoli sindacati, avanza così lentamente, e, dall’altra parte, se si tengano presenti la confusione e le storture che il proudhonismo ha provocato, nella sua forma originaria, nei francesi e nei belgi, e, più tardi, nella caricatura che ne fece Bakunin, negli spagnoli e negli italiani.
Il secondo vantaggio è costituito dal fatto che i tedeschi sono arrivati quasi ultimi nel movimento operaio dell’epoca. Come il socialismo tedesco non dimenticherà mai che esso, diremo, poggia sulle spalle di Saínt-Simon, Fourier e Owen, tre uomini che, con tutta la loro fantasticheria e tutto il loro utopismo, sono tra le teste più fini di tutti i tempi e hanno anticipato infinite cose che noi oggi dimostriamo scientificamente, così il movimento operaio pratico tedesco non può mai dimenticare che esso si è sviluppato sulle spalle dei movimenti inglese e francese, e può con tutta semplicità trarre profitto dalle loro esperienze acquistate a così caro prezzo ed evitare oggi i loro errori che erano allora inevitabili. Senza il gigantesco impulso dato specialmente dalla Comune di Parigi, dallo sviluppo precedente delle trade-unions inglesi e dalle lotte politiche degli operai francesi, a che punto saremmo noi ora?
Si deve riconoscere che gli operai tedeschi hanno sfruttato con rara intelligenza la loro vantaggiosa posizione. Infatti, per la prima volta dacché esiste il movimento operaio, la lotta viene condotta unitariamente, coerentemente e secondo un piano che si svolge su tre linee: teorica, politica e pratico-economica (resistenza ai capitalisti). La forza e l’invincibilità del movimento tedesco sta precisamente in questo attacco che potremmo dire concentrico”[1].
[1] V. Lenin, Che fare?, edizioni Lotta Comunista