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Organo teorico della Scuola Rossa

L'aumento dei salari implica la caduta generale del saggio del profitto

di Manuel Santoro

Il nostro lavoro di educazione della classe operaia e, più in generale dei lavoratori salariati, ha l’obiettivo di consentire un’acquisizione precisa degli elementi teorici necessari senza i quali non è possibile prendere coscienza del proprio ruolo storico in quanto classe oppressa. Assorbire i primi elementi teorici necessari grazie allo strumento “Scuola”, non significa fermarsi lì. Significa iniziare da lì, per poi continuare con l’approfondimento della teoria, poiché la teoria socialista, la scienza del marxismo-leninismo, non può assolutamente essere staccata dallo strumento “partito”, necessario per guidare la classe operaia alla rivoluzione proletaria, socialista, e iniziare il lungo percorso di costruzione del socialismo attraverso l’implementazione della propria dittatura. È necessario per gli operai studiare attentamente i lavori di Marx, Engels, Lenin, Stalin, ed è ciò che la “Scuola Rossa” consente.

Riprendendo ciò che abbiamo introdotto qualche scritto fa relativamente al testo di Marx “Salario, prezzo e profitto”, secondo testo di studio della Fase II della Scuola Rossa di Convergenza Socialista, riprendiamo la posizione, o il ragionamento, di Weston che si basa sulle seguenti affermazioni:

  • L’ammontare della produzione nazionale è una grandezza fissa, costante;
  • La somma dei salari reali è anche essa una quantità fissa, costante.

Iniziamo dalla prima affermazione, ovvero che l’ammontare della produzione nazionale è una quantità fissa. Al contrario di ciò che è la posizione di Weston, la produzione nella sua totalità è variabile, non costante, in aumento con l’aumento e il miglioramento delle forze produttive e l’accumulazione del capitale. E un aumento generale dei salari non cambia questa situazione nell’immediato.  Né assumendo una produzione costante si può dimostrare salari reali costanti.

Scrive Marx che “se la produzione nazionale era variabile e non costante prima dell'aumento dei salari, essa continuerà a essere variabile e non costante anche dopo l'aumento dei salari.”

In altre parole, l’ammontare della totalità della produzione nazionale varia, e ciò dipende, da una parte, dall’aumento del grado di sviluppo delle forze produttive, iniziando dai mezzi di produzione, con il loro miglioramento tecnologico, l’accumulazione del capitale e una maggiore divisione del lavoro; dall’altra la distruzione di buona parte delle forze produttive come effetto di crisi economiche e commerciali, oppure guerre. Il variare implica che vi sia un aumento così come una diminuzione della produzione complessiva ma non un mantenimento costante nel tempo. Anche la totalità dei salari reali è variabile.  

Riprendiamo alcuni concetti.

  1. Il salario nominale è il prezzo della forza-lavoro in denaro, ovvero la somma di denaro che l’operaio riceve dal capitalista per la vendita della sua forza-lavoro;
  2. Il salario reale è il rapporto tra il prezzo della forza-lavoro e il prezzo di tutte le altre merci;
  3. Il salario relativo è il rapporto tra il prezzo della forza-lavoro e il prezzo del lavoro accumulato.

Di conseguenza, considerando i salari reali complessivi, essi sarebbero costanti nel tempo se e solo se rimanesse costante il rapporto tra il prezzo della forza-lavoro complessiva e il prezzo di tutte le altre merci.  Naturalmente, dal lato della classe dei capitalisti, la tendenza sarebbe, in regime di libera concorrenza, quella di abbassare il prezzo della merce prodotta per soggiogare i competitori e vendere il più possibile, oppure, in regime monopolistico, o comunque in un regime molto lontano dalla libera concorrenza, di alzare il prezzo delle merci a piacimento per massimizzare i profitti, mantenendo magari costante il livello dei salari nominali oppure addirittura abbassarli. Comunque vada, sempre dal lato della classe dei capitalisti che vendono beni di sussistenza necessari alla classe operaia per la soddisfazione dei loro bisogni assoluti, la tendenza ad un abbassamento dei prezzi nel caso di una forte concorrenza tra i venditori, porterebbe ad un aumento dei salari reali a parità di salari nominali, e ciò comporterebbe la volontà da parte dei capitalisti di abbassare i salari nominali. Nel caso di un innalzamento dei prezzi dei beni si sussistenza in vendita per una massimizzazione dei profitti, possibile poiché bassa o nulla è la concorrenza dal lato dell’offerta, per esempio in regime monopolistico, e considerando salari nominali invariati, i salari reali diminuirebbero, ovvero gli operai potrebbero comprare meno beni a parità di salario in denaro. Qui ci sarebbe la tendenza da parte della classe operaia di richiedere un innalzamento dei salari nominali, contro la volontà dei capitalisti perché ciò andrebbe comunque ad intaccare i profitti. La volontà da parte degli operai di richiedere un aumento dei salari nominali potrebbe anche non avere l’effetto di un aumento dei salari reali. Ciò dipenderebbe dai prezzi dei beni di consumo necessari alla vita e riproduzione della classe operaia stessa.

Scrive Marx in “Lavoro salariato e Capitale” che “il salario ora aumenterà, ora diminuirà, a seconda del rapporto tra domanda e disponibilità, a seconda del modo come si configura la concorrenza fra i compratori di forza-lavoro, i capitalisti, e i venditori di forza-lavoro, gli operai. Alle oscillazioni dei prezzi delle merci in generale corrispondono le oscillazioni del salario. Nei limiti di queste oscillazioni, però, il prezzo della forza-lavoro sarà determinato dai costi di produzione, dal tempo di lavoro che si richiede per produrre questa merce, la forza-lavoro.”

Di conseguenza, il desiderio, la volontà, la tendenza da parte delle classi di abbassare o innalzare i salari oppure i profitti, si scontra con la realtà, ovvero con le leggi del capitale e il suo movimento.

Scrive Marx nel testo che stiamo trattando, che “se il limite dell'ammontare dei salari è stabilito da una legge economica, indipendente sia dalla volontà dei capitalisti come dalla volontà degli operai, la prima cosa che il cittadino Weston avrebbe dovuto fare era di esporre questa legge e di provarla. Inoltre egli avrebbe dovuto dimostrare che l'ammontare dei salari realmente pagato corrisponde sempre, in ogni momento, al necessario ammontare dei salari, e non se ne discosta mai.”

Cosa intende Marx quando dice che “l'ammontare dei salari realmente pagato corrisponde sempre, in ogni momento, al necessario ammontare dei salari, e non se ne discosta mai”?

Intende che il prezzo della forza-lavoro, il suo valore nella forma denaro, è determinato dai costi di produzione della forza-lavoro stessa, e tali costi non sono altro che i costi necessari alla vita e alla riproduzione del soggetto-uomo-operaio, in quanto classe. Conservare, quindi, l’uomo in quanto operaio e fare in modo che ci sia riserva di operai nel caso, come le macchine, l’operaio si degradi e diventi obsoleto, rotto, improduttivo. L’ammontare dei salari, quindi, varia poiché corrisponde al necessario ammontare dei salari e tale “necessario ammontare” varia come esposto precedentemente. Il termine “necessario” è legato alla quantità di denaro necessario per la soddisfazione dei bisogni assoluti; i soli bisogni che sicuramente l’operaio deve e può soddisfare.

Scrive Marx che “è un fatto incontestabile che la classe operaia, considerata nel suo insieme, spende e deve spendere tutto il suo salario in oggetti di prima necessità.”

E ciò ci porta alla domanda retorica di Marx: “Con quale artifizio il capitalista è in condizione di dare per cinque scellini il valore di quattro scellini? Con l'aumento del prezzo delle merci che egli vende.”

Marx ci spiega questo passaggio differenziando tra il sottoinsieme della classe dei capitalisti che vende mezzi di sussistenza che vanno a coprire i bisogni assoluti, e il resto della classe che vende il resto delle merci, che possiamo indicare come beni di lusso.

Supponiamo che ci sia un innalzamento generale dei salari, in regime di libera concorrenza. Stiamo supponendo un aumento dei salari in denaro, diremmo in busta paga, e tale aumento provocherebbe un aumento della domanda di merci che vanno a soddisfare i bisogni assoluti da pare della classe operaia. Tale aumento della domanda di queste merci, fa innalzare il loro prezzo di mercato. Quindi, quella parte della classe capitalistica che vende questi beni di prima necessità sarebbe compensata sull’aumento generalizzato dei salari grazie all’aumento dei prezzi delle merci in vendita.

Cosa succede, invece, alla rimanente parte della classe dei capitalisti che non vende beni di prima necessità, ma vende beni di lusso? Per esempio, vende tutti quei beni che vanno a soddisfare bisogni relativi, sociali, ovvero bisogni emersi, sviluppati dall’incremento complessivo della ricchezza sociale e che non fanno assolutamente parte del cestino dei bisogni vitali degli operai? Chiamiamo questi beni: beni di lusso.

Essi non potrebbero coprire l’innalzamento dei salari nominali, che sono tenuti comunque a sborsare all’operaio per l’acquisto della forza-lavoro a parità di tutte le condizioni al contorno, con l’aumento dei profitti dovuto all’aumento della domanda che, come detto, non c’è. Non essendoci aumento di domanda di questi beni di lusso, non vi è aumento dei prezzi e quindi non ci sono quei maggiori profitti che vanno a compensare la maggiorazione generale dei salari. Cosa succede, dunque?

Abbiamo visto nelle lezioni precedenti come il plusvalore sia un incremento del capitale variabile al termine del processo di produzione e come il saggio del plusvalore sia il rapporto tra il plusvalore stesso e il capitale variabile anticipato. Il capitale variabile è la somma dei valori dei mezzi di sussistenza, ovvero quella parte di capitale che si materializza in forza-lavoro, o se vogliamo usare altre parole, quella somma di denaro speso da parte del capitalista per l’acquisto della forza-lavoro. Il salario nominale, appunto.

Un aumento del salario nominale è un aumento di capitale variabile e ciò comporta una diminuzione del saggio del profitto a parità di capitale costante. Meno profitto, o meglio una minore valorizzazione del capitale anticipato, porta a una minore capacità di acquistare proprio quei prodotti che non sono di prima necessità e ciò porta ad un abbassamento dei prezzi essendo bassa la domanda. Inoltre, questa fetta di classe capitalistica dovrà comunque comprare beni di sussistenza a prezzi, ora, più alti, e di conseguenza pagare di più a parità di quantità di merci di prima necessità tra il prima e il dopo l’innalzamento generalizzato dei prezzi.  

Se ne conclude che il saggio del profitto cadrebbe non soltanto in rapporto diretto all'aumento generale del livello dei salari, ma in rapporto all'azione combinata dell'aumento generale dei salari, all'aumento dei prezzi delle merci di prima necessità e della caduta dei prezzi delle merci che non sono di prima necessità.

Come abbiamo discusso in “Lavoro salariato e capitale”, ciò comporterebbe una migrazione di capitale verso i rami di produzione più remunerativi, e ciò sino al raggiungimento di un rinnovato equilibrio generalizzato.

Scrive Marx che “la caduta del saggio del profitto, conseguente all'aumento dei salari, diventerebbe così generale, invece di rimanere limitata solo ad alcuni rami di industria. Secondo la nostra supposizione, non si sarebbe verificato nessun mutamento né nelle forze produttive del lavoro, né nell'ammontare totale della produzione; quella data massa di produzione avrebbe soltanto cambiato la sua forma. Una parte maggiore della produzione esisterebbe ora sotto la forma di oggetti di prima necessità, una parte minore sotto la forma di oggetti di lusso. L'aumento generale del livello dei salari, non porterebbe dunque ad altro, dopo un turbamento temporaneo dei prezzi di mercato, che alla caduta generale del saggio del profitto, senza alcuna variazione durevole nel prezzo delle merci.”

Ciò perché l’aumento dei salari comporta l’aumento della forza d’acquisto degli operai a cui corrisponde esattamente la diminuzione della forza d’acquisto dei capitalisti. Complessivamente, la domanda complessiva dei beni non aumenterebbe, poiché da una parte aumenterebbe e dall’altra diminuirebbe. La crescente domanda da una parte sarebbe compensata dalla domanda decrescente dall'altra parte. Di conseguenza, se la domanda complessiva delle merci rimanesse invariata, non potrebbe esserci alcuna variazione durevole del prezzo di mercato delle merci. L'aumento generale del livello dei salari non avrà infine altra conseguenza che una caduta generale del saggio del profitto.

 

Ultima modifica ilDomenica, 21 Gennaio 2024 13:25
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