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La lotta tra capitalista e operaio
di Manuel Santoro
Abbiamo studiato sino ad oggi i vari aspetti che regolano il valore delle merci, il prezzo delle merci e nel caso specifico della forza-lavoro, la quale è una merce che segue le stesse regole di tutte le altre merci, la differenza tra il suo valore e il suo prezzo. [Vedi la video-lezione qui: https://youtu.be/Go3ySdxvWEQ]
Sintetizza Marx che “la resistenza periodica opposta dagli operai contro la diminuzione dei salari e gli sforzi che essi fanno di tempo in tempo per avere degli aumenti di salario sono inseparabili dal sistema del salario e dettati dal fatto stesso che il lavoro è parificato alle merci, e che perciò è soggetto alle leggi che regolano il movimento generale dei prezzi.”
Abbiamo altresì studiato come, fissata la quantità di ore lavorate in un determinato periodo di tempo, l’aumento dei salari determini la caduta del saggio del plusvalore e, a parità di capitale costante, del saggio del profitto. E viceversa, la diminuzione dei salari causi l’aumento di entrambi i saggi. È quindi evidente come sia assoluto interesse del capitalista diminuire i salari per massimizzare il profitto, e così facendo determinare la massimizzazione del grado di sfruttamento dell’operaio. Naturalmente, come anche visto nelle precedenti lezioni, il capitalista ha l’arma dell’aumento della giornata lavorativa che gli consente di aumentare il saggio del plusvalore e del profitto. Viceversa, una riduzione della quantità di ore lavorate che compongono per esempio la giornata lavorativa, a parità di salario, crea una caduta del saggio del plusvalore e, a parità di capitale costante, del saggio del profitto.
Scrive difatti Marx che “un rialzo generale dei salari provocherebbe una caduta del saggio generale del profitto, senza esercitare alcuna influenza sui prezzi medi delle merci o sui loro valori, sorge ora infine la questione di sapere fino a qual punto, in questa lotta incessante tra capitale e lavoro, quest'ultimo ha delle prospettive di successo.”
Noi sappiamo bene che il prezzo di mercato di una merce è in media e nel lungo periodo corrispondente al suo valore, una volta cioè che le oscillazioni di domanda e offerta vengono annullate. E ciò vale anche per la forza-lavoro. In altre parole, anche il prezzo di mercato della forza-lavoro è in media e nel lungo periodo uguale al suo valore, il quale è determinato dalla quantità di tempo necessario alla produzione dei beni di sussistenza di cui l’operaio ha bisogno quotidianamente (se il salario nominale è per giornata di lavoro) per la vita, la conservazione e la riproduzione della specie operaia. Anche se come qualsiasi merce, la forza-lavoro è soggetta a fluttuazioni tra domanda e offerta dovuti a diversi fattori, ad iniziare dalla concorrenza dal lato dell’offerta oppure della domanda, in media e nel lungo periodo tali fluttuazioni si annullano ricongiungendo il prezzo di mercato al valore della forza-lavoro stessa. Ciò però in termini generali. Nella realtà, il valore della forza-lavoro ha dei vincoli che ora vedremo.
Scrive difatti Marx quanto segue: “potrei rispondere con una generalizzazione, e dire che il prezzo di mercato del lavoro, come quello di tutte le altre merci, si adatterà a lungo andare al suo valore; che perciò, malgrado tutti gli alti e bassi, e malgrado tutto ciò che l'operaio possa fare, in ultima analisi egli non riceverà in media che il valore del suo lavoro, il quale si risolve nel valore della sua forza-lavoro, determinato a sua volta dal valore degli oggetti d'uso necessari per la sua conservazione e la sua riproduzione, valore che, infine, è regolato dalla quantità di lavoro necessaria per la loro produzione.”
“Ma vi sono alcune circostanze particolari”, continua Marx, “che differenziano il valore della forza-lavoro dai valori di tutte le altre merci. Il valore della forza-lavoro è costituito da due elementi, di cui l'uno è unicamente fisico, l'altro storico o sociale.” Iniziamo a esaminare il vincolo fisico, che è duplice: durata della giornata lavorativa e rapporto tra prezzo e valore della forza-lavoro. Il limite fisico è dato dal fatto che l’operaio non può lavorare a tempo infinito conservando la propria forza-lavoro per il periodo di lavoro successivo. Abbiamo visto la scorsa volta, che è interesse dell’operaio conservare il più possibile la propria forza-lavoro, così come è interesse del capitalista spremere senza distruggere la forza-lavoro dell’operaio. Quindi, ne consegue, che esiste un limite oltre il quale tale forza-lavoro viene de facto distrutta. Questo limite è legato alla durata della giornata di lavoro.
Scrive Marx che “la durata della giornata di lavoro ha il suo limite estremo, quantunque assai elastico. Questo limite estremo è dato dalla forza fisica dell'operaio. Se l'esaurimento giornaliero della sua forza vitale supera un certo limite, questa non può rimettersi ogni giorno in attività.”
Vi è però anche il limite dettato dal salario nominale che il capitalista dà all’operaio giornalmente e che serve all’operaio per lo scambio con i beni di sussistenza necessari alla vita. Il prezzo della forza-lavoro non può essere per tempi lunghi e troppo al di sotto del suo valore, altrimenti l’operaio non riesce a rigenerarsi quotidianamente per l’atto della produzione.
Su questo, scrive Marx che il “limite minimo è determinato dall'elemento fisico, il che vuol dire che la classe operaia, per conservarsi e per rinnovarsi, per perpetuare la propria esistenza fisica, deve ricevere gli oggetti d'uso assolutamente necessari per la sua vita e per la sua riproduzione. Il valore di questi oggetti d'uso assolutamente necessari costituisce quindi il limite minimo del valore del lavoro.”
Vediamo ora il secondo vincolo il quale è di natura storica o sociale. Per affrontare questo aspetto dobbiamo riprendere i concetti di bisogni assoluti e bisogni relativi studiati tempo addietro, ad iniziare dalla Fase I della nostra Scuola Rossa. I bisogni assoluti sono quei bisogni vitali, assolutamente necessari per la vita, la conservazione e la riproduzione, e sono i bisogni che ognuno deve soddisfare. I bisogni relativi sono bisogni sociali che emergono dalla società stessa, dalla sua evoluzione e dall’incremento della ricchezza sociale. L’operaio tende a non soddisfare tali bisogni, o ne soddisfa in minima parte, anche se è proprio lui con il suo lavoro e il consumo della propria forza-lavoro a creare tutti i valori, quindi la ricchezza sociale, e di conseguenza i bisogni che da altri vengono soddisfatti completamente.
Su questo Marx scrive che “oltre che da questo elemento puramente fisico, il valore del lavoro è determinato dal tenore di vita tradizionale in ogni paese. Esso non consiste soltanto nella vita fisica, ma nel soddisfacimento di determinati bisogni, che nascono dalle condizioni sociali in cui gli uomini vivono e sono stati educati. Questo elemento storico o sociale, che entra nel valore della forza-lavoro, può aumentare o diminuire, e anche annullarsi, in modo che non rimanga che il limite fisico.” Essendo bisogni che emergono dalla ricchezza sociale, essi sono diversi da paese a paese, e diversi in epoche storiche differenti. Diversi saranno i gradi di soddisfazione di tali bisogni e di conseguenza i mezzi monetari per soddisfarli.
Scrive Marx che “se confrontate tra loro i salari normali o i valori del lavoro in diversi Paesi e in diverse epoche storiche dello stesso Paese, troverete che il valore del lavoro non è una grandezza fissa, ma una grandezza variabile, anche se si suppone che i valori di tutte le altre merci rimangano costanti. Lo stesso confronto per quanto riguarda i saggi di mercato del profitto, dimostrerebbe che non solo essi cambiano, ma che cambiano anche i loro saggi medi.”
Tornando un attimo al salario, abbiamo visto come ci sia un limite minimo. Ciò implica che vi è quindi un limite massimo al profitto a parità di durata di giornata di lavoro. Non essendoci, invece, alcun limite massimo al salario non è possibile stabilire un limite minimo al profitto. In particolare, la massimizzazione del profitto si ha quando si raggiunge il limite minimo dal lato dei salari e il limite massimo dal lato della durata della giornata di lavoro.
Scrive Marx che “il massimo del profitto è dunque limitato solamente dal minimo fisico dei salari e dal massimo fisico della giornata di lavoro.” E ciò causa una infinità di variazioni possibili del saggio del plusvalore e del saggio del profitto.
“Il capitalista cerca costantemente di ridurre i salari al loro limite fisico minimo e di estendere la giornata di lavoro al suo limite fisico massimo, mentre l'operaio esercita costantemente una pressione in senso opposto”, conclude Marx.