- Scritto da Manuel Santoro
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La guerra e la rivoluzione In evidenza
Parte del lavoro della Scuola Rossa: Incontro con Lenin
In questa lezione, parte del seminario “Incontro con Lenin”, analizzeremo uno scritto del maggio 1917 dal titolo “La guerra e la rivoluzione”. Trattiamo questo scritto di Lenin poiché cade all’interno del periodo storico che stiamo esaminando nell’altro seminario della Scuola Rossa, “Dialogando con Stalin”, e in particolare nell’analisi del testo “Trotskizmo o Leninismo?” di Stalin.
Video-lezione disponibile sul canale YouTube della Scuola Rossa: https://youtu.be/BGVFDVEPAoU?si=OJ-JKeUR-l6tB7Mh
Avevamo, difatti, nella lezione dal titolo “Lenin: le Tesi; contro Trotsky su ruolo dei contadini” che trovate sia sul nostro canale YouTube come video, sia sul nostro sito-web, L’Ideologia Socialista, come testo, riportato già un passaggio del testo “la guerra e la rivoluzione” in cui Lenin scrive che:
Il "difensismo rivoluzionario" consiste nel giustificare la guerra con il pretesto che noi abbiamo fatto la rivoluzione, che siamo quindi un popolo rivoluzionario, che siamo una democrazia rivoluzionaria. Ma quale è la nostra risposta, se ci si interroga su questo punto? Quale rivoluzione abbiamo fatto? Abbiamo rovesciato Nicola II. Questa rivoluzione non è stata troppo ardua rispetto a quella che dovrà rovesciare la classe dei grandi proprietari fondiari e dei capitalisti. Chi ha preso il potere, dopo la nostra rivoluzione? I grandi proprietari fondiari e i capitalisti, cioè le stesse classi che sono al potere in Europa da molto tempo.
Ricordo che sia “Incontro con Lenin” che “Dialogando con Stalin” sono seminari e, non corsi. E per rinforzare questo messaggio vi dirò che questo scritto di Lenin richiede la conoscenza almeno del testo “Imperialismo, fase suprema del capitalismo” che è parte della Fase I del piano di studi della Scuola Rossa.
Ma partiamo dall’inizio.
Esordisce Lenin con il seguente giudizio:
la cosa essenziale, che viene di solito trascurata nella questione della guerra e a cui non si riserva la dovuta attenzione, la cosa fondamentale, su cui si discute tanto, e spesso, direi, in modo sterile, vuoto e improduttivo, riguarda il carattere di classe della guerra, le ragioni per cui essa è scoppiata, le classi che la conducono, le condizioni storiche e storico-economiche che l’hanno provocata.
E ancora, dice Lenin:
Nella misura in cui, nei comizi e nelle riunioni di partito, sono riuscito a esaminare il modo come viene posta da noi la questione della guerra, sono giunto alla conclusione che la maggior parte dei malintesi nasce dal fatto che noi, analizzando la questione della guerra, parliamo spesso lingue radicalmente diverse.
Ma cosa si intende per “parlare lingue diverse”? Si intende considerare la questione della guerra da un punto di vista strutturale oppure no. In altre parole, rimane necessario verificare quali classi sociali preparano e impongono alla nazione la guerra. E per quali motivazioni. È la guerra di natura imperialistica, preparata durante il periodo di pace dalle classi sociali capitalistiche, dalle oligarchie finanziarie, oppure la guerra è condotta dalle classi operaie, oppresse, e ciò è possibile solo se la guerra è di liberazione oppure il paese ha già condotto a termine l’atto rivoluzionario e si accinge a difendersi contro i predoni imperialisti che sono contrari naturalmente alla costruzione del socialismo e alla dittatura del proletariato.
Scrive difatti Lenin che
dal punto di vista del marxismo, cioè del socialismo scientifico moderno, la questione fondamentale, per dei socialisti che discutano sulla valutazione da dare a proposito di una guerra e sull’atteggiamento da assumere nei suoi confronti, consiste nell’individuare gli obiettivi per cui questa guerra viene condotta e le classi che l’hanno preparata e diretta. Noi marxisti non siamo avversari incondizionati di ogni guerra.
Siamo nella fase suprema del capitalismo, nell’imperialismo, e Lenin viveva in un contesto di differenti oligarchie finanziarie di tipo nazionale che si preparavano per la conquista e il saccheggio. Noi oggi viviamo sempre nella fase imperialistica ma con una oligarchia finanziaria che potrebbe sembrare unificata, di tipo transnazionale e atlantista, “occidentale”, ma che cova comunque all’interno delle contraddizioni che spingono al contrasto. Probabilmente non alla guerra, ma sicuramente all’indebolimento. Vediamo questo a breve.
Inoltre, oggi è da tenere in considerazione lo scontro tra i paesi imperialisti e, da una parte le vecchie ex colonie in rivolta, che emergono rafforzate e inviperite, e dall’altra i paesi le cui classi dominanti non hanno alcuna voglia di essere sottomesse.
Diamo prima di tutto la definizione così da inquadrare subito la questione.
Cinque sono i punti che contraddistinguono la fase del capitalismo denominato imperialismo:
- la concentrazione della produzione e del capitale, che ha raggiunto un grado talmente alto di sviluppo da creare i monopoli con funzione decisiva nella vita economica;
- la fusione del capitale bancario con il capitale industriale e il formarsi, sulla base di questo capitale finanziario, di una oligarchia finanziaria;
- la grande importanza acquistata dall’esportazione di capitale in confronto con l’esportazione di merci;
- il sorgere di associazioni monopolistiche internazionali di capitalisti, che si ripartiscono il mondo;
- la compiuta ripartizione della terra tra le più grandi potenze capitalistiche.
Rivedete per bene questi 5 punti e capirete quali sono i paesi imperialisti oggi. Concentrazione della produzione e del capitale; fusione del capitale bancario e del capitale industriale che consente la creazione e l’opera di una oligarchia finanziaria; l’esportazione di capitale rispetto all’esportazione di merci; i trust, i cartelli, i regimi di monopolio, duopolio e oligopolio che conquistano i mercati e il mondo dividendoselo; la ripartizione della terra in colonie.
Ai tempi di Lenin, i paesi le cui oligarchie finanziarie cercavano guerre e saccheggio erano l’Inghilterra, la Francia, la Russia (che dipendeva dalle prime due), la Germania che emergeva come avversario dell’Inghilterra, gli Stati Uniti, il Giappone. Oggi i paesi imperialisti le cui oligarchie finanziarie si confrontano sono Stati Uniti, Inghilterra, Germania, Francia e Giappone, con la lenta emersione del Canada. Globalisti, unipolari, falsamente uniti verso l’esterno per la conquista di Russia, Cina, Africa, Asia e Sud America, ma con profonde contraddizioni tra loro con gli Stati Uniti e l’Inghilterra che cercano di indebolire, magari non con la guerra, ancora, ma con il sabotaggio, la Germania e la Francia. E parliamo sempre di indebolimento delle classi dominanti. Il sabotaggio del Nord Stream II così come l’accerchiamento NATO, braccio armato delle oligarchie finanziarie unite verso l’esterno, nei confronti di Russia e Cina vanno in questa direzione.
Quindi, se ai tempi di Lenin non vi era ancora un approccio condiviso tra le varie oligarchie finanziarie verso il loro esterno poiché si cercava tramite la guerra di conquistare nuove terre e risorse a scapito di altri, oggi vi è una politica univoca verso l’esterno poiché guidata dagli Stati uniti, quindi unico forte regista, a cui si allea la classe dominante imperialistica inglese. Basta rivedersi le alleanze decennali tra Stati Uniti e Inghilterra nei tanti conflitti caldi in medio oriente; e la simbiosi dei loro servizi segreti nel rovesciamento di presidenti democraticamente eletti, nel perseguimento di sabotaggi in giro per il mondo, nel lavoro che stanno portando avanti in Ucraina contro la Russia.
È chiaro ora cosa significa essere imperialisti oppure non imperialisti? La politica in quanto sovrastruttura è diretta assolutamente e solamente dalla classe dominante. Non da altri.
Introduciamo un altro elemento. Se le classi dominanti imperialistiche, le oligarchie finanziarie guidano, tramite la loro dittatura, i paesi in guerra, e quindi le classi oppresse, i lavoratori, in guerra, cosa deve fare un comunista? Cosa deve fare la classe operaia e cosa devono fare i lavoratori salariati, gli oppressi in generale?
Scrive Lenin che
il nostro scopo è l’instaurazione di un assetto sociale socialista, che, sopprimendo la divisione dell’umanità in classi ed eliminando ogni sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo e di ogni nazione da parte di altre nazioni, sopprimerà immancabilmente ogni possibilità di guerra in generale.
In altre parole, i lavoratori non devono seguire le parole d’ordine delle classi imperialistiche quali “difesa della patria”, poiché l’operaio è senza patria, ma è necessario portare la guerra direttamente verso le classi dominanti. Non essere stupidi servi delle oligarchie finanziarie e morire per il loro arricchimento, ma morire per la liberazione delle classi oppresse, per la propria liberazione ed emancipazione, portare a termine la rivoluzione socialista e incamminarsi verso la costruzione del socialismo nel proprio paese.
Scrive Lenin che
ogni guerra è indissolubilmente connessa con il regime politico da cui deriva. È la stessa politica che una data potenza e una data classe in questa potenza ha condotto assai prima della guerra, è la stessa politica che questa classe prosegue durante la guerra, cambiando soltanto la forma della propria azione.
In altre parole, il modus operandi prima della guerra è ciò che si avrà in guerra. La pace è la preparazione alla guerra in questa fase suprema del capitalismo. Conclusa la spartizione del mondo era necessaria una nuova spartizione poiché paesi prima non pronti per sedere al banchetto e alla spartizione, ora richiedevano un tornaconto adeguato e qualcuno doveva pur cedere qualcosa. Come abbiamo accennato, l’esempio della Germania è emblematico e difatti Lenin riporta che
oggi invece siamo in presenza anzitutto di due gruppi di potenze capitalistiche. Siamo in presenza dei paesi capitalistici più potenti del mondo, Inghilterra, Francia, America, Germania, la cui politica è consistita per vari decenni in una ininterrotta rivalità economica per garantire il proprio dominio sul mondo, per soffocare le piccole nazioni, per triplicare e decuplicare i profitti del capitale bancario che tende a subordinare alla sua influenza il mondo intero. È questa la reale politica svolta dall’Inghilterra e dalla Germania. Insisto su questo punto, su cui non bisogna stancarsi di insistere, perché, tralasciandolo, non riusciamo a capire la guerra in corso e ci troviamo cosi impotenti, alla mercè di ogni pubblicista borghese, che ci rimpinzerà di frasi bugiarde.
Continua Lenin,
bisogna studiare e capire nel suo insieme l’effettiva politica realizzata per decenni prima della guerra dai due gruppi di giganti capitalistici, dall’Inghilterra e dalla Germania che, insieme con i loro alleati, si sono scagliate l’una contro l’altra.
Per comprendere la questione ai tempi di Lenin e avere, quindi, un metro per comprendere il nostro tempo dobbiamo ricordare che il decennio 1860-1870 vi è l’apogeo della libera concorrenza e i monopoli sono soltanto in fase embrionale. L’Inghilterra è naturalmente il paese capitalistico per eccellenza, seguito dalla Francia. Basti pensare che il capitale esportato all’estero da parte dell’Inghilterra nel 1872 è di 15 miliardi di franchi, quello della Francia intorno ai 12 miliardi di franchi, mentre il dato non si conosce per la Germania. Solo all’inizio del nuovo secolo la Germania comincerà ad emergere come avversario…ma vediamo.
Dopo la crisi del 1873, vi è un ampio sviluppo dei cartelli. Sono però ancora l’eccezione e non sono ancora stabili. Sono un fenomeno di transizione. Alla fine del XIX secolo vi è una ascesa degli affari, e poi la crisi del 1900-1903. I cartelli diventano una delle basi di tutta la vita economica. Il capitalismo entra nella sua nuova fase: l’imperialismo, appunto, o capitalismo monopolistico.
Scrive Lenin in “Imperialismo, fase suprema del capitalismo” che
i cartelli si mettono d’accordo sulle condizioni di vendita, i termini di pagamento, ecc. Si ripartiscono i mercati. Stabiliscono la quantità delle merci da produrre. Fissano i prezzi. Ripartiscono i profitti tra le singole imprese.
Di conseguenza, i monopoli emergono e si consolidano tra la fine del ‘800 e l’inizio del ‘900, e la Germania richiede un posto alla tavola per la spartizione del mondo e della ricchezza.
Scrive Lenin:
comparve un nuovo predone, nel 1871 si costituì una nuova potenza capitalistica, che prese a svilupparsi con ritmo incomparabilmente più rapido rispetto all'Inghilterra. Ecco il fatto essenziale. Non c'è un solo libro di storia economica che non riconosca il fatto incontestabile della più rapida evoluzione della Germania. Questa rapida espansione del capitalismo in Germania fu lo sviluppo di un predone giovane e vigoroso che, presentandosi nel concerto delle potenze europee, dichiarò: «Avete rovinato l’Olanda, sconfitto la Francia, vi siete impadroniti di mezzo mondo: datemi dunque la parte che mi spetta!». Ma che cos’era questa «parte»? Come determinarla nel mondo capitalistico, nel mondo delle banche? La forza è data in questo mondo dal numero delle banche.
Le banche che si trasformavano da istituzioni il cui compito era quello di servire da intermediario nei pagamenti e trasformare il capitale liquido inattivo in capitale attivo, cioè a disposizione dei capitalisti per la produzione di profitto, in giganti monopolistici attraverso il processo di accumulazione che porta ai monopoli. Il periodo successivo alla libera concorrenza è in effetti la fase dell’accumulazione dei capitali così come della produzione in giganti monopolistici. In Germania, per esempio, la Deutsche Bank, di cui Lenin discute in “Imperialismo, fase suprema del capitalismo”, è già allora tra i più grandi gruppi bancari al mondo.
Sintetizzando, quindi, vi è la crescita e la concentrazione della produzione, l’incremento dell’industria ma soprattutto l’evoluzione del ruolo delle banche che diventano centri di potere, di natura universale. Con la crescita del sistema delle banche che ha dentro di sé i capitali enormi dei grandi industriali, ma non solo, emerge una sorta di controllo costante delle banche sull’industria che determina anche le sorti dell’industria stessa. Inoltre, una quota parte, sempre maggiore, del capitale dell’industria non appartiene più a coloro che operano nel settore industriale, a coloro che usano tali capitali per l’opera industriale. Questi capitali vengono dalle banche le quali sono i proprietari del denaro.
Scrive Hilferding che Lenin riporta nel testo:
una parte sempre crescente del capitale dell’industria non appartiene agli industriali, che lo utilizzano. Essi riescono a disporne solo attraverso le banche le quali, nei loro riguardi, rappresentano i proprietari del denaro. Gli istituti bancari devono d’altronde fissare nell’industria una parte sempre crescente dei loro capitali, trasformandosi quindi di più in capitalisti industriali. Chiamo capitale finanziario quel capitale bancario, e cioè quel capitale sotto forma di denaro che viene, in tal modo, effettivamente trasformato in capitale industriale.
Di conseguenza, la concentrazione della produzione e del capitale che conduce ai monopoli determina una evoluzione nel ruolo delle banche che avendo disponibilità di immensi capitali che presta, dispensa agli industriali, fa sì che le banche diventino i centri decisionali del lavoro industriale.
Il processo di simbiosi tra banche e industria ma con le banche al timone di comando. Il capitale finanziario è, quindi, il capitale di cui dispongono le banche ma che viene impiegato dagli industriali. E questo al tempo di Lenin, ancora naturalmente applicabile oggi ma con una ulteriore evoluzione di tipo finanziaria.
Continua Lenin nel testo che stiamo esaminando “la guerra e la rivoluzione”:
la guerra in corso è la continuazione di una politica fondata sulla conquista, sullo sterminio di intere popolazioni e sulle inaudite atrocità commesse in Africa dai tedeschi e dagli inglesi, e in Persia dagli inglesi e dai russi.
Ecco a cosa si riduce la vera storia del capitale finanziario inglese e tedesco nei decenni che hanno preceduto la guerra. Ecco la chiave per capire i moventi della guerra attuale.
Se si dimentica la storia del capitale finanziario, la storia del modo come è maturata la guerra per una nuova spartizione, si finisce per far credere che due popoli vivevano in pace, che d’un tratto l’uno ha attaccato e l’altro si è difeso.
Si dimenticano le banche!
Lo studio e la comprensione delle motivazioni reali, strutturali del perché dei conflitti e di chi prepara le guerre, rimangono fondamentali. La classe operaia e gli oppressi tutti devono essere consapevoli di tutto ciò, altrimenti si rischia di seguire parole d’ordine borghesi; parole d’ordine che appartengono alle oligarchie finanziarie il cui unico scopo è l’arricchimento e la conquista a scapito dei lavoratori che sono i soli a morire in guerra.
Lottare per la propria libertà ha senso solo se si è consapevoli della necessità della rivoluzione socialista.
Lottare per la propria libertà quando si è parte di un paese imperialistico e si va in guerra contro altri paesi non ha alcun senso, e si fa il giogo della propria classe dominante, della propria oligarchia finanziaria. Abbiamo già rimarcato quali erano i paesi imperialisti al tempo di Lenin e quali sono oggi. Teniamone conto quando analizziamo i fatti correnti.
Scrive Lenin:
Non dimenticherò mai la domanda che mi è stata posta dopo un comizio: «Perché parlate sempre contro i capitalisti? [Chiede un operaio] Sono forse un capitalista io? Noi siamo operai e difendiamo la nostra libertà».
Non è vero! [Dice Lenin] Voi combattete perché obbedite al vostro governo di capitalisti. Le guerre non sono condotte dai popoli, ma dai governi. Non mi stupisce che un operaio o un contadino, non avendo studiato la politica, non avendo avuto la ventura o la sventura di veder chiaro nei segreti della diplomazia, nello spettacolo del saccheggio finanziario dimentichi tutto questo e domandi ingenuamente: che c’entrano qui i capitalisti, se sono io a combattere? Egli non si avvede [dice Lenin] del legame tra la guerra e il governo, non capisce che la guerra è condotta dal governo e che lui è solo lo strumento di cui il governo si serve per i suoi fini.
E nel periodo del governo provvisorio, gli operai non solo sono strumento dei borghesi ma anche degli pseudo comunisti quali i menscevichi e i socialisti-rivoluzionari, i quali accasati alla corte della borghesia vogliono continuare la guerra imperialistica.
Questa prima guerra mondiale non è stata una scelta politica, una decisione del momento oppure potremmo dire una decisione di tipo sovrastrutturale. Questa grande guerra è l’effetto dello sviluppo monopolistico del capitalismo e su questo punto Lenin si scontrerà con diversi ex marxisti quali Kautsky, il quale rimarrà nelle sue analisi a livello sovrastrutturale, prettamente politico.
No [scrive Lenin], questa guerra è stata provocata inevitabilmente dallo sviluppo di un capitalismo, soprattutto bancario, ultrapotente, uno sviluppo il quale ha fatto sì che quattro banche di Berlino e cinque o sei banche di Londra abbiano il dominio su tutto il mondo, si accaparrino tutti i fondi, assicurino alla propria politica finanziaria l’appoggio delle forze armate e, da ultimo, si scontrino in una collisione eccezionalmente selvaggia, perché non riescono a proseguire liberamente lungo la via delle conquiste. Un gruppo o l’altro deve rinunciare alle sue colonie.
Per Kautsky, invece, l’imperialismo non era una fase o uno stadio dell’economia, bensì una politica preferita dal capitale finanziario e non si doveva quindi identificare l’imperialismo con il moderno capitalismo. È importante riproporre ciò che abbiamo esposto nelle nostre lezioni sul testo di Lenin “Imperialismo, fase suprema del capitalismo”, ovvero, scrive Kautsky che
l’imperialismo è il prodotto del capitalismo industriale, altamente sviluppato. Esso consiste nella tendenza di ciascuna nazione capitalistica industriale ad assoggettarsi e ad annettersi un sempre più vasto territorio agrario senza preoccupazioni nelle nazioni che lo abitano.
Ci sono tre problemi, tre errori, in questo passaggio di Kautsky.
Primo: Kautsky si riferisce al capitale industriale, non al capitale finanziario, e ciò significa che esclude completamente il ruolo e l’apporto dominante delle banche.
Secondo: Kautsky considera l’imperialismo una tendenza (testualmente dice “tendenza”), ovvero una scelta di natura politica, sovrastrutturale, quindi fuori dall’evoluzione storica del capitalismo.
Terzo errore di Kautsky: tra le righe si evince l’asserzione di una certa pacificazione tra le nazioni imperialistiche mentre la natura dell’imperialismo è di violenza e di reazione.
In definitiva, Kautsky [dice Lenin]
separa la politica dell’imperialismo dalla sua economia, dalla sua struttura, interpretando le annessioni come la politica preferita del capitale finanziario, e contrapponendo ad essa un’altra politica borghese, senza annessioni, che sarebbe secondo lui possibile sulla stessa base del capitale finanziario.
Si avrebbe, quindi, continua Lenin che
i monopoli nella vita economica sarebbero compatibili con una politica non monopolistica, senza violenza, non annessionista; che la ripartizione territoriale del mondo, ultimata appunto nell’epoca del capitale finanziario e costituente la base della originalità delle odierne forme di gara tra i maggiori Stati capitalistici, sarebbe compatibile con una politica non imperialista. In tal guisa si velano e si attutiscono i fondamentali contrasti che esistono in seno al recentissimo stadio del capitalismo.
Quindi, occhio cari operai, cari lavoratori a non confondere le cose come Kautsky. La posizione di Kautsky condivisa anche oggi da truppe di pseudo comunisti e falso-socialisti è il tentativo di conciliarsi con l’imperialismo e, di conseguenza, con il volere delle oligarchie finanziarie. È il tentativo di combattere l’imperialismo senza intaccare le sue basi economiche. Un non senso, insomma.
Considerare l’imperialismo solo nella sua sfera politica senza considerarne la struttura economica, significa essere nel campo della borghesia. Per superare i danni di natura politica dell’imperialismo, ovvero per esempio le annessioni, le ruberie delle risorse naturali altrui, ecc., è necessaria la lotta e la vittoria contro le oligarchie finanziarie. È necessario superare la natura economica dell’imperialismo e dei suoi rapporti sociali di produzione, e ciò significa dirigersi verso la vittoria della rivoluzione socialista.
Certamente la seconda rivoluzione russa, quella borghese di febbraio/marzo del 1917, è stata un primo passo verso la seconda fase della rivoluzione, quella socialista. E fatto molto importante, dice Lenin,
la rivoluzione russa non ha modificato la guerra, ma ha creato organismi che non hanno riscontro in nessun altro paese e che non sono esistiti nella maggior parte delle rivoluzioni occidentali. I Soviet, appunto. I Soviet dei deputati operai, contadini e soldati.
Ecco le organizzazioni delle classi che non hanno alcun reale bisogno delle annessioni, che non hanno depositato milioni nelle banche.
La garanzia che la rivoluzione potrà andare avanti è qui, nel fatto che queste classi, prive di qualsiasi interesse reale perle annessioni, sono riuscite a creare degli organismi in cui sono rappresentate le classi oppresse.
“Tutto il potere ai Soviet”, parola d’ordine dei comunisti, dei bolscevichi. E tale parola d’ordine è ancora assolutamente valida. Sta ai lavoratori organizzarsi nei luoghi di lavoro senza attendere che qualcuno lo faccia per loro, perché quel qualcuno non ci sarà. Lenin è i bolscevichi incoraggiarono i lavoratori nell’auto-organizzazione; non lo fecero per loro.
Noi quindi vi diciamo: oggi c’è un passaggio antecedente ai Soviet ed è un minimo di educazione teorica socialista. Organizzate i circoli della Scuola Rossa.
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