- Scritto da Manuel Santoro
- Pubblicato in Teoria
- Letto 3045 volte
- dimensione font riduci dimensione font aumenta la dimensione del font
- Stampa
Il populismo si combatte e si vince con il classismo
di Manuel Santoro
“Quando il gruppo dell’Emancipazione del lavoro impegnò la lotta per il marxismo nella stampa russa all’estero, il movimento socialdemocratico non esisteva ancora in Russia. Era indispensabile innanzitutto aprire la via a questo movimento sull’arena teorica e ideologica. E il più grosso ostacolo ideologico alla diffusione del marxismo e del movimento socialdemocratico era, in quel tempo, costituito dalle concezioni populiste, prevalenti allora tra gli operai d’avanguardia e gli intellettuali di ispirazioni rivoluzionarie” [1].
L’attualità di questo passaggio è per noi palese. Anche oggi manca del tutto un movimento socialdemocratico, inteso nel senso marxista naturalmente e il cui termine Lenin riprende profusamente nel Che fare?, così come è anche oggi urgente e indispensabile riaprire un varco teorico e ideologico che permetta a tale movimento di costituirsi e crescere nel migliore dei modi, tenendo conto degli avversari che, in diverse forme rispetto al passato, riemergono con forza. Oggi, così come allora, i populismi sono tra noi più forti che mai e, così come allora, vanno combattuti.
Il gruppo dell’Emancipazione del lavoro di Plekhanov è da considerarsi il primo nucleo che si prese la briga di divulgare e diffondere in Russia i lavori di Marx ed Engels, traducendo anche varie opere, in una Russia devastata dall’autocrazia zarista e dalla ingordigia della classe dei proprietari fondiari, da una parte, e dalla propoganda pseudo-socialista dei populisti, dall’altra. Siamo a metà degli anni ’80 del XIX secolo, esattamente nel 1883. Diciassette anni addietro rispetto all'uscita del primo numero dell’Iskra; trentaquattro anni addietro, il doppio, rispetto alla rivoluzione d’ottobre.
I populisti, sedicenti socialisti, al tempo di Plekhanov ritenevano che il capitalismo in Russia fosse un fenomeno casuale, non storico, innaturale, e che tale casualità rendeva la classe lavoratrice, operaia, non sviluppabile quantitativamente e qualitativamente parallelamente allo sviluppo della società capitalista. Ciò significa che la classe operaia, proletaria, non avrebbe potuto essere, per i populisti, l’avanguardia del movimento operaio e che bisognava fare affidamento sui contadini, non i lavoratori salariati delle fabbriche e delle industrie. Inoltre, per i populisti la storia non era fatta dalle classi; la storia non era il prodotto della lotta di classe, ma era il prodotto dell’azione di “individui eminenti - gli eroi -, che le masse, la folla, il popolo, le classi seguivano ciecamente" [1].
La nostra storia è affollata di capipopolo. Lo è stato nel passato, lo è nel presente e lo sarà nel futuro, se non sapremo contrapporre un argine teorico-politico che dia centralità storica alle lotte di classi.
Noi oggi non siamo molto lontani dalle ragioni politiche che spinsero Plekhanov e il gruppo Emancipazione del lavoro a combattere teoricamente e politicamente i populismi con il socialismo scientifico. All'epoca, i populisti “distoglievano i lavoratori dalla lotta contro la classe degli oppressori”[1], e come scrissi alcuni mesi fa, è nostro dovere oggi criticare le "moderne forme di distrazione di massa che oggi reclutano forze vitali all’interno di sterili filoni propagandistici"[2] tra i quali il populismo. “Ogni epoca evidentemente ha le sue distrazioni per le classi meno abbienti le quali, invece di concentrare il proprio pensiero e la propria azione sul conflitto tra classi, si perdono in inutili conflitti tra sovranità, patrie, sovrastrutture”[2]. Anche oggi, come allora, i populismi ostacolano la costruzione di un partito autonomo della classe lavoratrice. Un partito autonomo delle lavoratrici e dei lavoratori salariati, che includa tra i suoi ranghi la potenziale forza lavoro e chi forza lavoro lo è già stato.
Il messaggio della storia ci è chiaro. I populismi sono nostri avversati politici i quali producono mostri che le masse seguono ciecamente non avendo gli strumenti classisti per opporsi. La mancanza di una coscienza di classe facilita esponenzialmente la caduta delle masse nelle mani dell’uomo solo al comando. Si torna, quindi, sempre al solito punto che Marx ed Engels seppero tradurre in parole semplici ed efficaci nei momenti successivi alla disfatta della Comune di Parigi: ora “non v’era altro da fare” che “un lento lavoro di organizzazione e di educazione”[3].
[1] Storia del Partito comunista bolscevico dell’URSS, redatto dalla Commissione incaricata dal Comitato Centrale e diretta da Iosif Stalin
[2] Manuel Santoro, Il socialismo vive di coscienza e lotta di classe, L'Ideologia Socialista
[3] Manuel Santoro, Sulla funzione del partito, L’Ideologia Socialista