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Organo teorico della Scuola Rossa

Il partito e la classe operaia

di Manuel Santoro

Dal rapporto del lavoro estraniato con la proprietà privata segue inoltre che l’emancipazione della società dalla proprietà privata, ecc., dalla schiavitù si esprime nella forma politica dell’emancipazione degli operai, non già come se si trattasse soltanto di questa emancipazione, ma perché in questa emancipazione è contenuta l’emancipazione universale dell’uomo; la quale è ivi contenuta perché nel rapporto dell’operaio con la produzione è incluso tutto intero l’asservimento dell’uomo, e tutti i rapporti di servaggio altro non sono che modificazioni e conseguenze del primo rapporto.” [1]

Il partito socialista, marxista-leninista, è l’avanguardia della classe lavoratrice salariata tutta ma all’interno dell’intera classe, è soprattutto avanguardia delle operaie e degli operai, in quanto essi sono dentro la produzione, parte integrante dei rapporti di produzione e, più di altri, connessi biunivocamente al capitale e dal capitale educati. Marx, nel passaggio sopra riportato, ci indica che l’emancipazione della donna e dell’uomo dipende necessariamente dall’emancipazione dell’operaia e dell’operaio; o meglio, l’emancipazione della classe operaia è condizione necessaria per l’emancipazione di tutte le donne e di tutti gli uomini facente parte della società. Ciò significa che la transizione dalla società capitalistica alla società socialista può solo avverarsi se vi è una decisa e reale emancipazione delle operaie e degli operai, e non indistintamente lavoratrici e lavoratori, oppure donne e uomini. Ma in una società come la nostra, odierna, dove è immensa la divisione del lavoro, e oltre agli operai, parte dei processi produttivi, ci sono altre categorie di lavoratori comunque salariati o stipendiati ma che non sono direttamente a contatto con il capitale e con la produzione su larga scala, potremmo stratificare il discorso affermando che l’emancipazione della classe operaia, e prettamente delle operaie e degli operai che producono valore, manufatti, sia condizione necessaria per l’emancipazione del resto della classe lavoratrice salariata e stipendiata non prettamente operaia, e, infine, tale emancipazione (della classe operaia) sia condizione necessaria per l’emancipazione delle donne e degli uomini, parte della società, non salariati ma sfruttati.

Rimane, quindi, di primaria importanza focalizzarci sulla produzione, sia essa privata o di Stato (capitalistico). Il partito socialista, che può definirsi tale solo se rigorosamente marxista-leninista, è avanguardia di chi è attore sfruttato della e nella produzione, di chi è a contatto diretto con il capitale, di chi è un capitale. L’operaia e l’operaio sono difatti un capitale. [1] Il partito socialista, nell’azione politica di difendere donne e uomini dall’oppressione del capitale e da qualsiasi tipo di sfruttamento, ha il compito di avvicinare e comporsi, rimpolpando le proprie fila, di operaie e di operai poiché sono le operaie e gli operai ad essere educate, più di altri, dal capitale e ad acquisire con più fermezza coscienza di classe. Quindi, seppur avanguardia della classe lavoratrice salariata, il partito socialista, marxista-leninista deve essere avanguardia della classe operaia poiché solo con le operaie e con gli operai, educati dal capitale all’interno della produzione, si può sperare di arrivare alla società socialista. E sono le operaie e gli operai che, assorbendo quotidianamente, sulla propria pelle, l’asprezza del conflitto con i capitalisti, acquisendo le basilari nozioni degli interessi contrapposti e del livello di sfruttamento da parte della classe borghese contro la loro classe, riescono a cementificare una coscienza collettiva in grado di guidare il resto della classe lavoratrice, non prettamente operaia, e il resto delle donne e degli uomini sfruttati. “Grazie alla sua funzione economica nella grande produzione, solo il proletariato è capace di essere guida di tutti i lavoratori e di tutte le masse sfruttate, che la borghesia spesso sfrutta, opprime, schiaccia non meno e anche più dei proletari, ma che sono incapaci di lottare indipendentemente per la loro emancipazione.” [2]

L’emancipazione di donne e di uomini da qualsiasi tipologia di sfruttamento, è quindi dipendente dall’emancipazione delle operaie e degli operai. Ma cosa significa emancipazione della classe operaia? Se la società capitalistica è il complesso dei rapporti sociali di produzione giuridicamente espressi con la proprietà privata, ed è quindi quella società che si basa sulla proprietà privata dei mezzi di produzione, e di conseguenza di distribuzione della ricchezza prodotta, basta la sola transizione alla società socialista per “emancipare” operaie ed operai e, di conseguenza, lavoratrici e lavoratori, e a seguire donne e uomini? Non proprio. Il socialismo emancipa la classe operaia dal capitale privatizzato, ovvero dal lavoro accumulato pronto per una nuova produzione in mano private, siano esse di singoli capitalisti o dello Stato capitalista. Ma non emancipa affatto l’umanità dai bisogni, dalle ingiustizie oppure dalle ineguaglianze. Nel socialismo si “socializzano” i soli mezzi di produzione, ovvero tutti i mezzi di produzione che nella società capitalistica erano in mano dei capitalisti, nel socialismo sono in mano dei lavoratori e, quindi, sono di proprietà comune. Ma tutto l’apparato sovrastrutturale, giuridico normativo, “ogni rapporto economico, morale, spirituale, le macchie della vecchia società dal cui seno essa è uscita” [3], rimane ancora quello borghese un secondo dopo che la classe lavoratrice ha conquistato i mezzi di produzione e lo Stato, che emerge dalla società socialista, passa sotto il controllo della maggioranza, dei lavoratori. Nel socialismo esiste ancora lo Stato, ora socialista, e di conseguenza continua ad esistere il conflitto tra classi, con la reazione interna dei capitalisti senza più il possesso dei mezzi di produzione e la reazione esterna dei paesi capitalistici che corrono in aiuto degli ex sfruttatori. Nel socialismo ora la forza-lavoro è una forza produttrice di valore sociale, ovvero il contratto di lavoro per il completamento di un compito preciso oppure lo svolgimento di un compito per un certo numero di ore non è più tra il lavoratore e il capitalista, ma tra il lavoratore e la sua classe sociale e non può più esserci creazione di “prodotto supplementare non pagato”. [4] E il lavoro svolto ha oggettivamente rilevanza e valore sociale. Ma nel socialismo non realizziamo la pienezza dell’emancipazione della classe operaia e, quindi, di tutte le donne e di tutti gli uomini. Il socialismo, seppure transizione dalla società capitalistica al comunismo compiuto, maturo, è da considerarsi punto di partenza dell’emancipazione del genere umano. Dal socialismo, conquistato, realizzato, ha inizio la lunga marcia verso la piena emancipazione che inizia, come abbiamo visto, con l’emancipazione del più debole tra gli attori della produzione, e nel tempo, tale emancipazione fluisce nella liberazione dell’umanità intera attraverso le deterministiche modificazioni sovrastrutturali.

La lunga marcia dal socialismo al comunismo compiuto è indefinita, piena di incognite, un miraggio che possiamo e dobbiamo porci solo una volta raggiunto il socialismo, ma è lì, nel comunismo, nella società senza classi, che qualsiasi tipo di sfruttamento si estingue poiché è lì che si estingue lo Stato: “finché esiste lo Stato non vi è libertà; quando si avrà libertà non vi sarà più Stato.” [2] Estinto lo Stato socialista in quanto non più necessario data l’estinzione di ogni conflitto di classe determinata dall’estinzione di qualsiasi differenziazione del genere umano in classi sociali, si è in una società enormemente elevata in cui “dopo che è scomparsa la subordinazione asservitrice degli individui alla divisione del lavoro, e quindi anche il contrasto tra il lavoro intellettuale e fisico; dopo che il lavoro non è divenuto soltanto mezzo di vita, ma anche il primo bisogno della vita; dopo che con lo sviluppo onnilaterale degli individui sono cresciute anche le forze produttive e tutte le sorgenti della ricchezza collettiva scorrono in tutta la loro pienezza, solo allora l’angusto orizzonte giuridico borghese può essere superato, e la società può scrivere sulle sue bandiere: “ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi bisogni!” [3]   

 

[1] K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Piccola Biblioteca Einaudi

[2] V. Lenin, Stato e rivoluzione, Red star press, 2015

[3] K. Marx, Critica al Programma di Gotha, bordeaux, 2018

[4] V. Lenin, Marx ed Engels, shake edizioni, 2013

Ultima modifica ilDomenica, 21 Gennaio 2024 13:31
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