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Tra il marxismo-leninismo e il populismo. Il concetto di popolo nasconde la lotta di classe

di Manuel Santoro

La scienza non può essere separata dallo strumento politico, ovvero la teoria marxista non può essere slegata dalla teoria del partito leninista. In modo assolutamente dialettico, la scienza e il partito interagiscono, si influenzano e si fondono per divenire unico strumento della classe operaia, e dei suoi alleati, e per l’emancipazione reale non solo dal salariato ma da qualsiasi tipologia di oppressione, sia essa dentro il processo produttivo sia fuori.

Il partito, in quanto strumento strategico e tattico della classe operaia, ha come nucleo fondativo la scienza comunista e nella sua opera pratica, contestualizzata alle condizioni materiali della società in cui si trova a lottare, assorbe nuovi insegnamenti per le lotte future. Il partito marxista-leninista, quindi, è scienza e strumento pratico insieme, il cui compito è arrivare alla rivoluzione socialista, alla conquista dello Stato da parte della classe operaia, con i suoi alleati, e all’instaurazione della dittatura del proletariato.

Ma quali sono le categorie sociali che il partito marxista-leninista deve assolutamente considerare come di riferimento oppure come alleate, senza cadere in un errore teorico di natura strategica?

La scienza marxista indica chiaramente come sia la classe operaia la categoria sociale del partito, ed essendo il partito marxista-leninista avanguardia della classe operaia, esso è parte della classe, contiene il meglio della classe operaia ed è allo stesso tempo guida dell’intera classe operaia. Non esiste alcun partito marxista-leninista senza la classe operaia. Indicarsi, definirsi come partito marxista-leninista senza il massiccio contributo delle operaie e degli operai è una definizione vuota.

La classe operaia non solo è legata al salariato, come altre categorie del lavoro, ma è collocata dalla società capitalistica, e quindi dai suoi processi produttivi e di scambio, nel posto più basso, più infimo, più misero della gerarchia borghese. L’operaio è colui che difatti è a più stretto contatto con la ferocia dei processi di produzione e di scambio capitalistici; è colui che più di qualsiasi altro lavoratore salariato si trova ad essere fortemente educato dal capitale poiché altamente sfruttato. Più si è oppressi dai processi produttivi e di scambio borghesi, più si è educati dal capitale stesso, più si acquisisce potenzialità rivoluzionarie per la propria emancipazione.   

Lenin ci indica la definizione di classe sociale, e da ciò dobbiamo partire, ovvero “si chiamano classi quei grandi gruppi di persone che si distinguono tra loro per il posto che occupano in un sistema storicamente determinato di produzione sociale, per il loro rapporto (per lo più sanzionato e fissato da leggi) con i mezzi di produzione, per la loro funzione nell’organizzazione sociale del lavoro e, quindi, per il modo in cui ottengono e per la dimensione che ha quella parte di ricchezza sociale di cui dispongono. Le classi sono gruppi di persone, l’uno dei quali può appropriarsi il lavoro dell’altro grazie al differente posto che occupa in un determinato sistema di economia sociale.” [1]

L’operaio è, di conseguenza, nel punto più basso all’interno dell’organizzazione sociale borghese e, importante per distinguersi dal sottoproletariato, nel punto più basso all’interno del sistema di produzione e di scambio della società capitalistica. Inoltre, le operaie e gli operai hanno un rapporto diretto con i mezzi di produzione, al contrario di altre tipologie di lavoro salariato, e, quindi, costretti ad un contatto fisico con la produzione e lo scambio reale. Ciò ci impone di affermare che sono le operaie e gli operai ad essere la classe sociale, più di altre, ad essere alienate, oppresse, quindi educate alla rivoluzione socialista. Non altre.

La scienza marxista chiarisce in modo inequivocabile la differenza sociale tra la classe operaia e il resto delle categorie del lavoro salariato, non salariato, e il resto dell’umanità. Marx enfatizza sin dalla giovane età come sia l’emancipazione dell’operaio, e non di altri, la condizione necessaria per l’emancipazione reale dell’intero popolo: “Dal rapporto del lavoro estraniato con la proprietà privata segue inoltre che l’emancipazione della società dalla proprietà privata, ecc., dalla schiavitù si esprime nella forma politica dell’emancipazione degli operai, non già come se si trattasse soltanto di questa emancipazione, ma perché in questa emancipazione è contenuta l’emancipazione universale dell’uomo; la quale è ivi contenuta perché nel rapporto dell’operaio con la produzione è incluso tutto intero l’asservimento dell’uomo, e tutti i rapporti di servaggio altro non sono che modificazioni e conseguenze del primo rapporto.” [2]

È evidente allora come sia la classe operaia, di cui il partito marxista-leninista è avanguardia, ad essere la classe sociale determinante per attivare, sviluppare e concludere con successo la rivoluzione socialista, la conquista dello Stato e l’instaurazione della propria dittatura, debellando nei tempi consoni alle condizioni materiali, sociali in cui questo processo rivoluzionario avviene, la dittatura della borghesia. Far riferimento ad altre categorie sociali, se naturalmente si ha l’obiettivo politico della rivoluzione socialista, ci porta sull’errore strategico che abbiamo accennato all’inizio dello scritto. Naturalmente, ciò non significa che non si debbano coltivare alleati della classe operaia per la transizione politica e la costruzione economica del socialismo.

Ma chi sono gli alleati della classe operaia nell’atto vivo, reale, della rivoluzione socialista? Tutte quelle categorie, e solo quelle, legate al salariato ‘povero’ e non corrotte da forme di aristocrazia di natura borghese.

Nel particolare, non sono sicuramente annoverabili tra gli alleati della classe operaia la cosiddetta piccola borghesia, o media-piccola borghesia, ovvero coloro che sono piccoli oppure medi-piccoli produttori di merci. Difatti è proprio Lenin che definisce piccolo borghese “un piccolo produttore di merci”, definizione che possiamo estendere per logica, e continua chiarendo come sia una classe in costante contraddizione, che aspira a divenire parte della classe dei capitalisti ma quasi sempre cade in rovina, scendendo nel proletariato oppure nel sottoproletariato, perché incapace di sostenere la feroce concorrenza del grande capitale e la costante innovazione tecnica e tecnologica necessaria per mantenersi a galla. È questa storica contraddizione, difatti, che espone “il suo carattere piccolo-borghese, l’antagonismo fra le tendenze padronali e quelle proletarie nel suo seno. Le oscillazioni del piccolo proprietario impoverito fra la borghesia controrivoluzionaria e il proletariato rivoluzionario sono altrettanto inevitabili quanto è inevitabile il fenomeno, caratteristico di ogni società capitalistica, per cui un’esigua minoranza di piccoli produttori si arricchisce, «si fa una posizione», si trasforma in borghesia, mentre la stragrande maggioranza o cade completamente in rovina e passa nelle file degli operai salariati o dei poveri, oppure vive perennemente ai margini della condizione di proletari.” [3]

Non sarebbero alleati della classe operaia nell’atto della rivoluzione socialista neanche i produttori ‘patriarcali’, ovvero coloro che sono proprietari dei mezzi di produzione, producono e consumano ciò che viene prodotto, senza venderlo. Dimentichiamoci, inoltre, il supporto del sottoproletariato, “ovvero lo strato più basso della sovrappopolazione relativa”, “vagabondi, delinquenti, prostitute” [4], attratto dalla reazione in quanto classe sociale slegata dai processi di produzione e di scambio capitalistici, e che Marx ed Engels già nel Manifesto del partito comunista definivano “questa putrefazione passiva degli strati più bassi della vecchia società…sarà più incline a farsi comprare per manovre reazionarie.” [5]

Inoltre, tutte le classi, i ceti, gli strati, le categorie sociali che non hanno possesso alcuno dei mezzi di produzione, non vendono la propria forza-lavoro per un salario e non sono quotidianamente dentro, parte e in contatto con i processi di produzione e di scambio borghesi, non possono ritenersi alleati della classe operaia per il raggiungimento del socialismo. Al contrario, tali categorie andrebbero a popolare la reazione a meno che non sprofondino nel proletariato rivoluzionario. Tra queste categorie ci sono anche i commercianti, le partite IVA, gli avvocati, i notai, i cosiddetti ‘liberi professionisti’, i giornalisti, gli studenti, e tante altre.

Ma ciò non basta. Anche nel lavoro salariato vi sono strati che tenderebbero, e già tendono, verso la borghesia reazionaria. Ne fanno sicuramente parte i lavoratori salariati statali, abituati ad assecondare ma spesso a servire lo Stato borghese e le sue istituzioni contro la classe operaia; ci sono i salariati, gli stipendiati slegati dalla manualità del lavoro e comodi nell’impiego da scrivania; ne è parte anche l’aristocrazia operaia, comodamente sistemata e venduta alla corte della borghesia dominante per un piatto di lenticchie.

Già Marx ed Engels avevano rimarcato nella loro epoca pre-monopolistica come gli operai venissero “concentrati in massa nelle fabbriche e organizzati a guisa di soldati. Come soldati semplici dell’industria vengono sottoposti alla sorveglianza di un’intera gerarchia di sottoufficiali e di ufficiali. Non sono soltanto servi della classe borghese, dello Stato borghese, ma vengono ogni giorno e ogni ora asserviti anche dalla macchina, dal sorvegliante, e soprattutto dal singolo borghese padrone di fabbrica.” [6]

La divisione del lavoro pone sopra l’operaio, quindi, capi e capetti, salariati come lui, arresi alle lusinghe del capitale. E Lenin ricalca affermando che “il contrasto tra i ‘capi’ e le ‘masse’ si è manifestato in tutti i paesi con particolare rilievo e asprezza alla fine della guerra imperialistica e dopo di essa. Marx ed Engels hanno spiegato ripetutamente, negli anni 1852-1892, le cause profonde di questo fenomeno con l’esempio dell’Inghilterra. La posizione monopolistica dell’Inghilterra ha selezionato dalla ‘massa’ una ‘aristocrazia operaia’, semifilistea, opportunistica. I capi di questa aristocrazia operaia sono passati di continuo dalla parte della borghesia e – direttamente o indirettamente – sono stati mantenuti dalla borghesia.” [7]

Ciò comporta anche risvolti assolutamente negativi per le organizzazioni che si ritengano di classe, e difatti Lenin continua esponendo un concetto su cui si dovrebbe porre particolare attenzione, ovvero che “l’imperialismo contemporaneo (XX secolo) ha creato per alcuni paesi progrediti una posizione di privilegio, di monopolio, e su questo terreno è comparso dappertutto, nella Seconda Internazionale, il tipo dei capi traditori, opportunisti, social-sciovinisti, che difendono gli interessi della loro corporazione, del loro strato di aristocrazia operaia. Si è prodotto un distaccamento dei partiti opportunisti dalle ‘masse’, cioè dai grandi strati di lavoratori, dalla loro maggioranza, dagli operai peggio retribuiti.” [8]

La chiarezza, quindi, di chi siano gli alleati della classe operaia e, di conseguenza, del partito in quanto avanguardia è, come dimostrato, fondamentale e irrinunciabile. Reputare come alleati della classe operaia categorie sociali sbagliate, che tendono de facto alla reazione, pone la lotta politica condotta dal partito marxista-leninista su binari inconcludenti, senza sbocco, sempre se si abbia l’obiettivo politico della rivoluzione socialista e della dittatura del proletariato.

L’analisi sulle categorie, sugli strati sociali tendenti alla reazione, alla conservazione della società borghese ci pone davanti alla domanda su chi siano, allora, gli alleati della classe operaia, fermo restando che il partito marxista-leninista è avanguardia solo di essa e che la rivoluzione socialista, portata a termine con il supporto fondamentale delle classi alleate, metta nelle mani delle operaie e degli operai la gestione dello Stato. Come accennato all’inizio di questo intervento, tutte quelle categorie, e solo quelle, legate al salariato “povero”. Se volessimo riprendere lo sviluppo della prima rivoluzione socialista, nella Russia del ’17, ricorderemmo i punti salienti del programma bolscevico: il controllo operaio sull’industria, la terra ai contadini poveri, la pace immediata per la salvezza dei soldati semplici. Naturalmente, tutto il potere ai Soviet! Il partito bolscevico, difatti, oltre ai due giornali di partito quali ‘Via operaia’ e ‘Il soldato’, aveva anche un giornale più recente dal titolo ‘I contadini poveri’.

Il conflitto tra classi era quindi chiaro in tempo di guerra. Classe operaia contro la classe capitalistica industriale; i contadini poveri contro quelli ricchi e i grandi proprietari di terra; i soldati semplici contro gli ufficiali e i sottoufficiali. Forze rivoluzionarie contro forze controrivoluzionarie. In tempo di pace, invece, ovunque ci sia il salariato povero legato direttamente ai processi di produzione e di scambio, a diretto contatto con i mezzi di produzione, lì ci sono le autentiche forze rivoluzionarie e gli alleati potenziali della classe operaia, scevra dai suoi stessi elementi aristocratici, per la conquista della società socialista.

Per arrivare, però, all’atto rivoluzionario è necessario percorrere sia la strada della lotta teorica, ovvero educare la classe operaia alla scienza socialista, sia la strada della lotta politica, ovvero intensificare ciò che Lenin indicava con il termine ‘agitazione politica’. È nel primo percorso che i comunisti cadono rovinosamente nella confusione poiché molto poveri dal punto di vista teorico. E ciò porta alla confusione e, ahimè, all’uso inappropriato del termine ‘popolo’ invece dell’uso delle categorie sociali comuniste: le classi sociali.   

Nel vasto universo di tutte le donne e di tutti gli uomini che compongono una società storicamente determinata, l’unica suddivisione, partizione che a noi interessi e che abbia senso storico-scientifico è la suddivisione in categorie sociali, in classi sociali. Una società storicamente determinata è partizionata in classi sociali, ovvero in categorie definite dal posto che donne e uomini occupano in un sistema storicamente determinato di produzione sociale. La partizione sociale è il risultato del rapporto dell’essere umano con i mezzi di produzione, e tale rapporto, status sociale, individuale, vive nella distribuzione sociale, ovvero in quella distribuzione che è: 1) distribuzione degli strumenti di produzione, e 2) – il che è un’ulteriore determinazione del medesimo rapporto – distribuzione dei membri della società fra i diversi generi di produzione.” [9]

Come riporta Marx, “rispetto al singolo individuo, la distribuzione appare naturalmente come una legge sociale che condiziona la sua posizione nella produzione all’interno della quale esso produce. Come discusso in un precedente intervento sulla nostra rivista, “non vi è solo la distribuzione delle merci prodotte, ma una fase distributiva precedente che certifica, determina, il modo di produzione corrente.” [10]

Naturalmente, la concezione materialistica della storia parte dal principio che la produzione e, con la produzione, lo scambio dei suoi prodotti siano la base di ogni ordinamento sociale. È evidente, quindi, come siano le classi sociali le nostre categorie, le quali risultano essere gli elementi primari della scienza socialista. Dall’unione delle classi sociali emergono le società nella loro interezza sociale, e le società sono “complessi di rapporti [sociali] di produzione, e ognuno di questi complessi caratterizza, nello stesso tempo, un particolare stadio di sviluppo nella storia dell’umanità.” [11]

Spesso, però, forse troppo spesso, si discorre di popolo e non di classi sociali. Premettendo che le nozioni che abbiamo appena esposto rimangono i pilastri della scienza comunista e che mai si dovrebbe deviare da essa per non incorrere in una leggerezza teorica, di natura appunto populista, che renda difficile la comprensione della realtà e la definizione delle strategie politiche, come potremmo definire popolo affinché non si cada nella leggerezza, appunto teorica?

Sono tre le questioni che, secondo Marx, sarebbero generati dall’uso del concetto di popolo, con i suoi conseguenti errori nell’analisi e nella progettazione della strategia politica. In primo luogo, tale concetto non permette di distinguere tra le classi e i loro diversi interessi; difatti, il concetto di popolo “nasconde la lotta di classe”. Ciò pare quasi ovvio, poiché il termine popolo, proprio per i suoi tratti molto generici, includerebbe interessi di classi sociali differenti, a volte convergenti in un determinato contesto storico e geografico, a volte inconciliabili per avvenute modificazioni economico-politiche. Sempre da “Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte”, Marx ci indica inoltre come il concetto di popolo ci porti a considerarlo come una entità indivisibile, che agisce compatto, coeso, in modo unificato. Anche la ingiustificata confidenza nella potenza del popolo dovrebbe essere vagliata, poiché ciò porta alla infantile considerazione che non sia affatto necessario “sag­giare gli interessi e le posizioni delle diverse classi”.

Naturalmente, sia Marx che Lenin usarono estensivamente il termine popolo e ciò volutamente per spiegare una entità sociale, dall’incerta composizione sociale ma con una specifica capacità d’azione. Certamente non esiste una definizione esplicita della composizione sociale del popolo ma, se definita in quanto contestualizzata nel contesto in cui va ad agire, ciò chiarisce l’univoca, convergente azione in atto evitando di enfatizzare i diversi interessi di classe.

Popolo può essere l’unione della classe sociale del proletariato e della classe sociale dei contadini, con la prima che “deve condurre la rivoluzione democratica legando a sé” la seconda “per schiacciare con la forza la resistenza dell’autocrazia e paralizzare l’instabilità della borghesia”. Popolo può essere l’unione della classe sociale del proletariato e della classe sociale degli “elementi semiproletari della popolazione”, con la prima che “deve fare la rivoluzione socialista legando a sé” la seconda, “per spezzare con la forza la resistenza della borghesia e paralizzare l’instabilità dei contadini e della piccola borghesia.” [12]

Il termine popolo, in definitiva, anche se scientificamente impreciso poiché non tiene conto degli interessi di classe e, quindi, il potenziale conflitto dentro di esso, servirebbe a descrivere le dinamiche politiche, le azioni congiunte delle diverse classi contro un avversario comune. In definitiva, il concetto di popolo deve essere definito sempre e sempre legato alle classi sociali che definiscono il recinto del concetto stesso.

Per Lenin, come del resto per noi, la classe operaia rimane comunque egemone, ovvero assume all’interno del popolo la funzione tattica dirigente. “Questo è il principio tattico fondamentale riguardante il proletariato come capo della rivoluzione borghese, il principio tattico essenziale sull’egemonia del proletariato nella rivoluzione borghese.” [13]

Ciò vale anche per la rivoluzione socialista. All’interno del popolo, quindi, composto dalla classe dei proletari e dalla classe dei contadini, nella rivoluzione borghese, e dalla classe dei proletari e dalla classe dei contadini poveri, nella rivoluzione socialista, la classe operaia, il proletariato detiene e deve detenere l’egemonia, ovvero la funzione dirigente con il suo partito, marxista-leninista, che ne indica la direzione tattico-strategica. È evidente, quindi, come oltre ad un chiarimento necessario sulla composizione sociale del popolo, composizione di classi sociali, sia altresì necessario chiarire chi tra le classi sociali coinvolte sia quella egemone. Limitarsi a discorrere di popolo senza chiarire questi due punti è fuorviante e nocivo per la lotta di classe da parte degli operai.

I due momenti storici che abbiamo qui riportato, ovvero la tattica leninista sulla rivoluzione borghese, prima, e sulla rivoluzione socialista, dopo, ci fanno comprendere meglio come, seppur il concetto di popolo possa essere sicuramente usato, l’utilizzo del concetto di classe sociale continua ad essere mandatorio. E da parte nostra, da parte dell’avanguardia della classe operaia, è richiesta una chiarezza teorica precisa su chi siano gli alleati degli operai in un determinato momento storico. Su questo Lenin ci indica come “tra i contadini vi è una massa di elementi semiproletari accanto agli elementi piccolo-borghesi. Ciò li rende pure essi instabili, obbligando il proletariato a raggrupparsi in un partito rigorosamente classista. Ma l'instabilità dei contadini differisce in modo radicale dall'instabilità della borghesia, perché nel momento attuale i contadini sono interessati non tanto alla conservazione assoluta della proprietà privata, quanto alla confisca delle terre dei proprietari fondiari, una delle forme principali di questa proprietà. Senza diventare con ciò socialisti, senza cessare di essere piccolo-borghesi, i contadini possono diventare dei partigiani decisi, e tra i più radicali, della rivoluzione democratica. E lo diventeranno inevitabilmente, purché il corso degli avvenimenti rivoluzionari, che li sta educando, non sia interrotto troppo presto dal tradimento della borghesia e dalla disfatta del proletariato. A questa condizione i contadini diventeranno certamente il baluardo della rivoluzione e della repubblica, perché solo una rivoluzione completamente vittoriosa potrà dar loro tutto nel campo delle riforme agrarie, tutto ciò che essi desiderano, che sognano, che è loro veramente indispensabile (non per sopprimere il capitalismo, come immaginano i «socialisti-rivoluzionari», ma per uscire dall'abiezione del semiasservimento, dalle tenebre dell' abbrutimento e del servaggio, per migliorare il loro tenore di vita, nella misura in cui lo consentono i limiti dell'economia mercantile.” [14]

Cosa è il popolo, quindi, per noi in questa fase storica, in questa nostra società storicamente determinata?

Per rispondere a questo quesito, dobbiamo riprendere quanto illustrato all’inizio di questo intervento. Infatti, abbiamo indicato che “l’analisi sulle categorie, sugli strati sociali tendenti alla reazione, alla conservazione della società borghese ci pone davanti alla domanda su chi siano, allora, gli alleati della classe operaia, fermo restando che il partito marxista-leninista è avanguardia solo di essa e che la rivoluzione socialista, portata a termine con il supporto fondamentale delle classi alleate, metta nelle mani delle operaie e degli operai la gestione dello Stato. Come accennato all’inizio di questo intervento, tutte quelle categorie, e solo quelle, legate al salariato povero… ovunque ci sia il salariato povero legato direttamente ai processi di produzione e di scambio, a diretto contatto con i mezzi di produzione, lì ci sono le autentiche forze rivoluzionarie e gli alleati potenziali della classe operaia, scevra dai suoi stessi elementi aristocratici, per la conquista della società socialista”. Potremmo, quindi, affermare che il popolo oggi, per la nostra tattica rivoluzionaria è l’unione delle classi sociali legate al salariato povero in cui la classe operaia sia egemone, e di cui il partito marxista-leninista ne sia la guida.

 

[1] V. Lenin, La grande iniziativa: l'eroismo dell'operaio russo nel fronte interno i sabati comunisti, Roma, Editori Riuniti, 1967, p. 384-385

[2] K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Torino, Piccola Biblioteca Einaudi, 2004, p. 80

[3] V. Lenin, Lo sviluppo del capitalismo in Russia, Roma, Editori Riuniti, 1967, p. 9

[4] K. Marx, Il Capitale, Libro primo, Settima sezione, Capitolo 23, Roma, Newton Compton, 2006, p. 467

[5] K. Marx & F. Engels, Manifesto del partito comunista, Bari, Editori Laterza, 2018, p. 20

[6] Ivi, p. 16

[7] V. Lenin, L’estremismo, malattia infantile del comunismo, Milano, Lotta Comunista, 2013, p.50

[8] Ibidem

[9] K. Marx, Per la Critica dell’Economia Politica, Milano, edizioni Lotta Comunista, 2009, p. 216

[10] M. Santoro, Sulla Produzione e distribuzione sociale, L'Ideologia Socialista - Sulla produzione e distribuzione sociale

[11] K. Marx, Lavoro salariato e capitale, Cap. III

[12] V. Lenin, Due tattiche della socialdemocrazia nella rivoluzione democratica, Opere scelte, Editori Riuniti, 1965, p. 389

[13] I. Stalin, Storia del partito comunista bolscevico dell’URSS, Red Star Press, 2018, p. 83

[14] V. Lenin, Due tattiche della socialdemocrazia nella rivoluzione democratica, Opere scelte, Editori Riuniti, 1965, p. 387-8

Ultima modifica ilDomenica, 21 Gennaio 2024 13:26
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