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Lo strano marxismo di un giovane professore
di Amedeo Curatoli
Parliamo di Marcello Musto, classe 1976, che insegna presso il Dipartimento di Scienze Politiche della York University di Toronto (Canada). Specialista in studi su Marx, ha collaborato al progetto di pubblicazione integrale degli scritti di Marx (MEGA 2 - opera ancora in via di attuazione), ha scritto numerosi articoli sull’argomento e ha dato alle stampe un libro dal titolo: “Saggi su Marx e i marxismi”.
Nell’esporre l’approccio politico-ideologico da cui muove la ricerca di Musto noi facciamo riferimento ad una lunga intervista concessa ai professori Vesa Oittinen e Andrey Maidansky che consiglieremmo ai compagni di leggere (http://links.org.au/node/2083) perché da questa intervista, come si cercherà di dimostrare, viene fuori una variante la più audacemente radicale e distruttiva di tutti i possibili “ritorni a Marx”. Ma prima sarà utile una breve digressione filosofica.
Nell’ambito della teoria della conoscenza, Kant enunciò una tesi che egli stesso definì una “rivoluzione copernicana” nel campo del pensiero, la quale tesi, tradotta in termini elementari (e ogni filosofia deve poter essere capita, nell’essenza, anche dai non “addetti ai lavori”) potrebbe spiegarsi così: quando mi pongo di fronte al mondo per capirlo, per conoscerlo, io non sono una “tabula rasa” cioè un soggetto sprovvisto di idee, un soggetto passivamente ricettivo delle sensazioni che il mondo esterno produce sui miei sensi e che poi io dovrò riordinare, mettere in relazione fra di loro ecc. per giungere successivamente ad una conoscenza “razionale”, cioè ad una conoscenza più profonda e che abbia un carattere di universalità. No, io già mi pongo, all’inizio del processo conoscitivo, come soggetto attivo, pensante, “che impone alla natura di rispondere alle mie domande”. Copernico intuì: non è il sole a girare intorno alla terra ma la terra a girare intorno al sole, e studiò il movimento degli astri e “impose alla natura di rispondere” al suo assunto. Anche Tolomeo dovette seguire lo stesso percorso, ma evidentemente la sua intuizione mancava di fondamento scientifico. Kant afferma: non è il soggetto che deve adattarsi all’oggetto ma è l’oggetto che si adatta al soggetto conoscente, alle leggi che esso vi pone.
Alle intuizioni del soggetto pensante (che prescindono dall’immediata esperienza sensibile), Kant diede il nome di “sintesi a priori”. Ma dalle “sintesi a priori” non scaturiscono necessariamente (come abbiamo visto per Tolomeo) verità universali scientificamente inattaccabili.
Un qualsiasi processo di apprendimento individuale, “pianificato”, non è mai “innocente” nel senso che se ci avviamo su un terreno di ricerca non cominciamo mai da zero senza sapere quale ne sarà l’esito finale: c’è sempre una “direzione di marcia” preventivamente stabilita e verso la quale ci orientiamo affinché il nostro studio suffraghi le nostre aprioristiche convinzioni. Le convinzioni del professor Musto, la sua “sintesi a priori” è: Marx è stato frainteso, falsato, canonizzato, equivocato. “Marx -egli afferma- è stato assimilato per lungo tempo alle grigie esperienze statuali del socialismo reale”. Quindi i grigi socialismi sovietico, cinese, vietnamita, nordcoreano, cubano, est-europeo poggiano (o poggiavano) tutti, senza eccezione, su un equivoco, sul fatto che quelle rivoluzioni hanno usato strumentalmente Marx, distorcendolo a fini di potere o chi sa di che cos’altro. Dice Musto che il primo ad aver fatto arbitrari interventi su Marx è stato addirittura Engels, e ciò si evincerebbe da nuove scoperte filologiche le quali “hanno rivelato migliaia di note aggiunte da Engels di suo pugno al magnum opus di Marx” e che le suddette nuove scoperte “hanno dimostrato che il 2° e 3° volume del Capitale lungi dall’essere l’esposizione di una teoria economica conclusiva erano costituiti in larga misura da annotazioni con carattere di provvisorietà e dunque passibili di ulteriori sviluppi” . Posta in questi termini, sembrerebbe quindi che il 2° e 3° volume del Capitale, a causa delle “migliaia di note aggiunte da Engels” siano apocrifi.
Su questo stesso argomento, Franz Mehring, marxista rivoluzionario e biografo di Marx ha un’idea opposta. Egli premette che la concezione del mondo di Marx e anche la sua opera principale non costituiscono “una Bibbia con verità pronte e valide una volta per sempre, ma una fonte inesauribile di incitamento ad ulteriore lavoro teorico, a ulteriori ricerche e lotte per la verità”. E più avanti: “Nella forma letteraria il secondo e terzo volume (del Capitale) non sono così compiuti come il primo, non hanno lo stesso spirito lampeggiante e scintillante. Eppure proprio come nuda elaborazione di pensiero, incurante di ogni forma, essi offrono a molti lettori un godimento ancora più alto del primo volume. (…) Per il loro contenuto questi due volumi costituiscono un’integrazione essenziale e un ulteriore sviluppo del primo volume, indispensabile per la comprensione di tutto il sistema” (F. Mehring, “Vita di Marx”, Editori Riuniti, pag. 371). Chi ha ragione dunque: Mehring o Musto? Si evince da questa citazione che Engels, a dispetto di quello che dice il Nostro, non solamente ha lasciato ai due volumi in questione il loro carattere di incompiutezza e di “nuda elaborazione”, ma, nel pubblicarli (e chi meglio e più di Engels avrebbe potuto e saputo completare l’opera del suo fraterno amico lasciata incompiuta?) ha fatto un’opera grandemente meritoria perché ci ha dato “un’integrazione essenziale e un ulteriore sviluppo del primo volume”. Se Mehring, ci mette genericamente in guardia dall’usare gli scritti di Marx come versetti biblici, Musto ha già scoperto che chi ha utilizzato Marx come una Bibbia: sono stati “l’Unione Sovietica e i cosiddetti ‘paesi socialisti attualmente esistenti’”
Secondo Musto, all’origine della falsificazione del pensiero di Marx (oltre ad Engels) c’è stato anche un rivoluzionario russo che ha introdotto il marxismo nel suo Paese: Plekanov, “colpevole (guilty) di aver divulgato una concezione rigida della società e della storia come molti altri marxisti dopo di lui” (cioè Lenin, che astutamente non viene nominato). Poi prosegue:” Secondo me questa concezione basata su un monismo semplicistico per cui lo sviluppo economico è decisivo per le altre trasformazioni della società, ha molto poco a che fare con la concezione di Marx. E’ più strettamente correlata al clima culturale del tempo, nel quale il positivismo e il determinismo hanno esercitato una grande influenza”.
Nella commovente orazione funebre che Engels pronunziò sulla tomba di Marx egli disse tra l’altro:
“Così come Darwin ha scoperto la legge dello sviluppo della natura organica, Marx ha scoperto la legge dello sviluppo della storia umana e cioè il fatto elementare, finora nascosto sotto l’orpello ideologico, che gli uomini devono innanzi tutto mangiare, bere, avere un tetto e vestirsi, prima di occuparsi di politica, di scienza, d’arte, di religione, ecc.; e che per conseguenza, la produzione dei mezzi materiali immediati di esistenza e, con essa, il grado di sviluppo economico di un popolo e di un’epoca in ogni momento determinato costituiscono la base sulla quale si sviluppano le istituzioni statali, le concezioni giuridiche, l’arte ed anche le idee religiose degli uomini, e partendo dalla quale esse devono venire spiegate, e non inversamente, come si era fatto finora”.
Da quale parte sta la verità, dalla parte di Engels, che illustra con parole semplici ed essenziali la concezione materialistica della storia (per farsi capire dagli operai); oppure dalla parte di Musto, che scegliendo con cura paroline difficili del tipo “monismo semplicistico” (per farsi bello agli occhi del mondo accademico borghese occidentale al di qua e al di là dell’Atlantico), degrada quella concezione a fattore a di derivazione positivistica? “Il volgare ‘materialismo dialettico’ di Stalin –dice Musto- (penso al diffusissimo e molto letto pamphlet ‘Materialismo dialettico e materialismo storico’ del 1938) non ha assolutamente nulla a che vedere con Marx”. Che cosa dimostra questo giudizio inappellabile? Dimostra che quasi certamente Musto non ha mai letto quest’opera di Stalin, che ne avrà sempre sentito parlare, da ragazzino, in termini negativi, con orrore, negli ambienti trotsko-ingrao-rossando-beertinottici in cui è cresciuto; dimostra che non è un ricercatore serio ma un puro e semplice e banale antistalinista che si concede, con la tipica arroganza di un accademico pieno si sé, di liquidare un’opera teorica non con la scienza ma con una pretesca scomunica.
L’affermazione testuale (e dubbia) di Musto secondo cui Marx non ha mai usato l’espressione “materialismo storico” ci costringe a fare un’altra citazione di Engels. Nel 1892, egli scrisse un opuscolo dal titolo (nota bene): “Sul materialismo storico” che cominciava così:
“Mi rendo perfettamente conto che il contenuto di questo opuscolo urterà una parte considerevole del pubblico inglese. Ma se noi continentali avessimo accordato la minima attenzione ai pregiudizi della ‘rispettabilità’ britannica, cioè del filisteismo inglese, ci troveremmo in una posizione assai peggiore di quella in cui già ci troviamo. Questo opuscolo difende quello che noi chiamiamo il ‘materialismo storico’, e la parola materialismo ferisce gli orecchi della immensa maggioranza dei lettori inglesi. ‘Agnosticismo’ potrebbe ancora passare, ma materialismo è assolutamente inammissibile!” (Marx-Engels: “Sul materialismo storico”, Editori Riuniti, pag.112).
Se fosse stato per davvero un marxista, il nostro giovane professore avrebbe potuto imparare dal grande Engels a come comportarsi con coraggio di fronte allo schifoso, marcio pensiero unico dominante. Invece ha fatto tutto il contrario, ha “accordato attenzione” ai pregiudizi della “rispettabilità” accademica e si è messo a dire cose che certamente saranno risultate gradevolissime all’orecchio degli anti e degli a-comunisti che lo circondano, e tutto ciò al fine di consolidare ed accrescere la sua fama di scopritore di un “altro Marx”. Vediamo a quali altre sintesi hanno portato le sue “scoperte”
1- “La lista delle idee di Marx che sono state fraintese o completamente distorte da alcuni (non ha il coraggio di dire ‘da tutti’) suoi ‘seguaci’ o dagli autoproclamatisi custodi del suo pensiero è molto lunga”.
2- “Falsato da diversi punti di vista per essere piegato a necessità politiche contingenti, egli (Marx) è stato assimilato a quelle distorsioni e diffamato in loro nome. Lungi dal far proprio l’ammonimento a non ‘scrivere ricette per pietanze di là da venire’ hanno fatto di lui il padre illegittimo di un nuovo sistema sociale. Critico rigorosissimo e mai autocompiaciuto dei risultati raggiunti, egli è divenuto invece la fonte del più ostinato dottrinarismo”.
3- “Convinto sostenitore che ‘l’emancipazione della classe operaia deve essere opera degli operai stessi’, egli (Marx) è stato intrappolato, al contrario, in un’ideologia che ha visto il prevalere della primazia delle avanguardie politiche e del partito nei loro ruoli di rappresentanti della coscienza di classe e di capi della rivoluzione”. Qui Musto tratta davvero Marx come l’incarnazione del Verbo (Verbum caro factum est): per lui è inconcepibile, sacrilego, pensare che la visione del mondo e la dottrina di Marx abbiano potuto subire un’evoluzione in epoche storiche successive attraverso nuove generazioni di teorici della rivoluzione. Pensate! Qualcuno ha osato formulare una teoria del Partito (Lenin) per rendere concretamente possibile la conquista del potere da parte della classe operaia? No, dice Musto, la classe operaia deve liberarsi da sé, senza che i partiti e i capi rivoluzionari si arroghino il ruolo di rappresentare la coscienza di classe in nome e per conto degli operai. In quest’idea mustiana contro “la primazia” del partito che si sovrapporrebbe alla classe operaia, non vi è neanche un milligrammo di originalità: se leggesse il “Che fare?” scoprirebbe che sta dicendo, fuori tempo massimo, le stesse cose degli avversari menscevichi di Lenin (divenuti controrivoluzionari dopo la conquista del potere da parte dei bolscevichi),
4- “Assertore dell’idea che la condizione primaria per l’elevamento delle capacità umane (degli operai) fosse la riduzione della giornata lavorativa, egli (Marx) è stato assimilato al credo produttivistico dello stakhanovismo”. Qui Musto, infarcito di pregiudizi anti-Stalini di provenienza Trotski-Krusciov-Cia , guarda con disprezzo e odio a tutto ciò che è accaduto nell’Urss pre-kruscioviana. Egli non sa, non vuol sapere, né lo ammetterà mai (a causa degli spessi paraocchi ideologici anti-socialismo storicamente realizzato) che lo Stakhanovismo, da lui degradato a “credo produttivistico” è stata una rivoluzione culturale prima ancora che produttiva, quando per la prima volta nella storia umana, avendo espropriato i Ford e i Marchionne russi, il lavoro manuale è divenuto un “punto d’onore” invece che una condanna; che lo stakhanovismo ha creato le premesse culturali e le basi materiali (auspicate da Stalin nello scritto “Problemi economici del socialismo in Urss”) per la riduzione drastica dell’orario di lavoro per consentire agli operai di ritornare a scuola e all’università, per acquisire una cultura superiore, per abbattere finalmente la barriera fra lavoro manuale e lavoro intellettuale. Tale grandioso obiettivo socialista non fu realizzato a causa della controrivoluzione kruscioviana.
5- “Che cosa si è verificato nel socialismo del XX secolo: l’idea che in una società comunista non vi è posto per ciò che attiene all’individualità; che le Associazioni operaie post-capitalistiche immaginate da Marx si sono ridotte a società liberticide, a regimi di oppressione senza diritti civili o garanzie politiche. È questo è il più grande paradosso che mai sarebbe potuto accadere a Marx”. E ai partiti e ai movimenti che si richiamano ancora al marxismo Musto consiglia di “riprendere nelle proprie mani la bandiera della libertà”. Può darsi che egli creda davvero che la fiaccola brandita da quell’orrenda statua su un’isoletta della baia di New York sia il simbolo universale della “Freedom”, quella che i turisti scemi d’Europa vanno ad ammirare restando con la bocca aperta. Tutti i mistici lamenti mustici sulle società socialiste “liberticide”, ammesso che abbiano un minimo di fondamento di verità, degradano immediatamente a propaganda anticomunista se si tace dei crimini mostruosi del Grande Fratello Termonucleare e dell’Europa borghese ad esso asservita, dove i “diritti civili” (borghesi) e le “garanzie politiche” (borghesi) sono in via di estinzione. È propaganda anticomunista un tantino meno dozzinale e un tantino più sofisticata rispetto alla fabbrica di menzogne delle agenzie Usa. È propaganda anticomunista del tipo di quella che ha fatto la fortuna degli Orwell, delle Harendt, degli Hobsbawm (anche lui marxologo come Musto) i cui best-sellers sono stati entusiasticamente accolti negli ambienti borghesi e in quelli frequentati dai comunisti-anticomunisti. L’Urss ha avuto un destino glorioso e drammatico, ha resistito ai continui tentativi di invasioni e distruzioni fin dalla sua nascita, tentativi apertamente dichiarati; è stata una società continuamente sottoposta a pressioni e minacce di ogni genere a conclusione dei quali è stata, alla fine, effettivamente invasa. Ed anche allora essa, pagando il più alto tributo di sangue della storia, ne è uscita vittoriosa. Chi parla a cuor leggero dell’Urss come di società liberticida (facendo della “libertà” un totem metafisico), oltre a peccare di originalità perché ripete gli slogan occidentali borghesi, dimostra, come storico, di non valere niente.
6- “Credo che uno dei motivi del fraintendimento delle idee di Marx sia il fatto che i suoi scritti sono stati letti troppo spesso -semmai sono stati letti- fuori del loro contesto storico. Prendiamo il caso della sua lettera a Weydemeyer. È stata scritta nel 1852, quando Marx aveva 33 anni cioè molto giovane e ancora nel processo elaborativo delle sue teorie. E dovremmo anche tenere a mente che si trattava solo di una lettera scritta a un compagno, non una visione completa di spessore teorico fissata in un libro. Quindi non dovrebbe essere considerata come una dichiarazione con carattere di definitività. Sicuramente, secondo la mia opinione, non si tratta del definitivo pensiero di Marx sui problemi esposti in quella lettera. Ciononostante, le frasi della lettera in questione (…) sono state ampiamente riprodotte. Nella Repubblica Democratica Tedesca, per esempio, esse apparivano su numerosi manifesti politici per sottolineare la sedicente importanza del concetto di dittatura del proletariato in Marx. Ma la verità è un’altra (…) lo studioso Hal Draper (chi era costui?) ha scoperto che Marx ha usato molto raramente l’espressione “dittatura del proletariato”. Fino ad oggi si è scoperto che l’ha usata solo 7 volte”.
Questa citazione l’abbiamo messa per esteso per non farci dire che abbiamo falsato il “pensiero” dell’autore. Vedere per credere, dunque. Marx era un giovinetto quando ha parlato di dittatura proletaria, presumibilmente una testa calda, aveva solo 33 anni.e poi…l’ha citata solo 7 volte! E che penserà Musto del Manifesto del Partito Comunista che Marx (insieme a Engels) scrisse 4 anni prima, quando aveva “solo” 29 anni? Ma, scherzi a parte, che cosa c’è dietro questo ingenuo, infantile tentativo di separare Marx dalla dittatura del proletariato? C’è il tentativo (reiterato nel tempo e niente affatto originale) di separare Marx dalla rivoluzione. La dittatura del proletariato, a prescindere dal nome specifico che in varie epoche storiche le si voglia attribuire, è l’autentica rivoluzione, l’esito inevitabile di ogni vera rivoluzione popolare vittoriosa, è, secondo le parole di Marx “la condizione preliminare di ogni reale rivoluzione proletaria” è spezzare, rompere, distruggere la macchina dello stato e sostituirla con un’altra “macchina”, cioè la dittatura del proletariato o -ripetiamo- come la si voglia chiamare. È questa la sintesi che Marx trasse dallo studio delle rivoluzioni in Francia. La “giovane età” di Marx c’entra come il cavolo a merenda, sarebbe invece più pertinente parlare della “giovane età” del professore Musto, che senz’altro sarà perdonato se nella “maturità” ritornerà sui suoi passi ed ammetterà che è impossibile dividere Marx dalla rivoluzione, e capirà che Marx sta meglio tra i popoli rivoluzionari che lo interrogano in continuazione per cercare di capire qual è la via da percorrere per giungere alla rivoluzione vittoriosa piuttosto che nelle accademie, fuori dalla vita, fuori dalla storia.