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Emancipazione del capitale e alienazione dell'operaio
di Manuel Santoro
"L'operaio ha la disgrazia di essere un capitale vivente e quindi avente dei bisogni…” (Marx)
Nell’esposizione sul lavoro estraniato, parte dei Manoscritti economico-filosofici del 1844, si è detto che se l’operaio è estraniato dal suo prodotto e dall’atto della produzione, sia il primo che il secondo non gli appartengono, appartengono allora a un altro essere umano. In altri termini, all’operaio non appartengono né l’oggetto da lui prodotto né l’atto della produzione, poiché appartengono a un altro uomo. Tale “altro uomo” è il capitalista, proprietario del capitale fisso e del capitale variabile.
Dentro la produzione l’operaio è tutto, fuori è niente, e nell’essere tutto dentro la produzione, è niente come essere umano. Scrive Marx che l’operaio “quando non lavora, perde i propri interessi e quindi la propria esistenza”, e ciò perché “non ha più nessun lavoro e perciò nessun salario, e poiché esiste non come uomo, ma come operaio, può lasciarsi morir di fame, sotterrare, ecc.” In definitiva, l’operaio è merce e la sua esistenza, il suo prezzo è legato alla domanda e all’offerta di tale merce. Una merce che produce merce, produce tutti i valori, produce plusvalore e, quindi, capitale. L’operaio produce il capitale, e il capitale produce l’operaio. Ne consegue che l’operaio produce l’operaio, se stesso. Inoltre, l’essere umano che è solo operaio e niente altro esiste solo come operaio, esiste se esiste per il capitale. Se non esistesse per il capitale, sarebbe niente. Scrive Marx che “l'operaio esiste come operaio soltanto là dove un capitale esiste per lui. L'esistenza del capitale è la sua esistenza, la sua vita; e parimenti essa determina il contenuto della sua vita in un modo che è a lui indifferente.”
Evidentemente, quindi, il capitalista risucchia la vita che concede all’operaio, in quanto classe, poiché ricava un profitto dando un salario. La forza-lavoro dell’operaio è necessaria al capitalista per il plus-valore, ma altresì è necessario che tale forza-lavoro si mantenga in buona condizione di salute per la continuazione del guadagno da parte del capitalista. Il salario, come visto ampliamente in precedenza, è ciò che serve all’operaio per mantenersi efficiente esattamente, dice Marx, come “il mantenimento in efficienza di ogni altro strumento produttivo”.
Come riportato in “Lavoro salariato e capitale”, scrive Marx che “anche la situazione più favorevole per la classe operaia, un aumento quanto più possibile rapido del capitale, per quanto possa migliorare la vita materiale dell’operaio non elimina il contrasto fra i suoi interessi e gli interessi del capitalista. Profitto e salario stanno, dopo come prima, in proporzione inversa.”
Ritornando a considerare le tre classi sociali: classe operaia, la classe dei capitalisti e la classe dei proprietari fondiari, e in termini di reddito rispettivamente il salario, il profitto da capitale e la rendita fondiaria, il salario e il profitto abbiamo visto stanno in relazione opposta, ovvero “la miseria dell'operaio sta in rapporto inverso con la potenza e la quantità della produzione”. Inoltre, con lo sviluppo delle forze produttive e le modificazioni di fase dei rapporti sociali di produzione, scompare la differenza tra il capitalista e il proprietario fondiario, cosi come scompare la differenza tra il contadino e l’operaio, e ciò conduce alla semplificazione della società in due grandi campi sociali: la classe dei proprietari dei mezzi di produzione e di scambio e la classe operaia.
Scrive Marx che “la terra in quanto terra, la rendita fondiaria in quanto rendita fondiaria hanno ivi perduto la loro distinzione di stato e sono diventate semplicemente capitale e interesse che non hanno più nulla da dire o meglio parlano soltanto più in termini di denaro. La distinzione tra capitale e terra, tra profitto e rendita fondiaria, così come tra entrambi e il salario, l'industria, l'agricoltura, la proprietà privata immobiliare e mobiliare, è ancora una distinzione storica, non fondata sulla natura delle cose, un momento cristallizzato dell'origine e della formazione del contrasto tra capitale e lavoro.” In altre parole, il ruolo del mero proprietario fondiario che ha il possesso della terra e, in quanto merce, la dà in affitto al capitalista è destinato ad esaurirsi. Ma prima di esaurirsi, il contrasto tra queste due classi è feroce. Sono classi dagli interessi opposti poiché il proprietario della terra considera il capitalista un subalterno “arricchito ed emancipato”, mentre il capitalista conosce il proprietario fondiario come il padrone svogliato, “inoperoso, crudele ed egoista”, scrive Marx, “antitesi della libera industria e del libero capitale, del capitale indipendente da ogni determinazione naturale.”
Continua Marx: “il proprietario fondiario fa valere la nobiltà originaria della sua proprietà, fa valere memorie e reminiscenze feudali, la poesia del ricordo, la sua natura romantica, la sua rilevanza politica, ecc., e parlando il linguaggio dell’economia politica dice che l'agricoltura soltanto è produttiva. Nello stesso tempo ci descrive il suo avversario come un manigoldo senza onore, senza principi, senza poesia, senza nulla, furbo, venale, mezzano, ingannatore, avido, corruttibile, facinoroso, privo di cuore e d'intelligenza, estraneo alla comunità di cui fa liberamente traffico, strozzino, ruffiano, servile, volubile, cortigiano, imbroglione, arido, che crea, alimenta ed accarezza la concorrenza e quindi il pauperismo e il delitto, la dissoluzione di tutti i vincoli sociali.” Ciò è il proprietario fondiario. E dal lato del capitalista?
Dal lato del capitalista, Marx scrive che egli “indica il miracolo dell'industria e della mobilità; è la figlia dell'epoca moderna, la sua figlia unigenita e legittima; rimprovera il suo avversario di essere uno sciocco incapace di capire la sua natura (e ciò è giustissimo), che al posto del capitale morale e del lavoro libero vuol mettere la rozza e immorale violenza e la servitù della gleba”. Il capitalista descrive il proprietario fondiario come “un Don Chisciotte” incapace di muoversi, di produrre, avido di godimenti e alla ricerca di godimenti, egoista, malvagio…un monopolista consumato.”
Dopotutto, il contrasto tra la classe dei capitalisti e la classe dei proprietari fondiari sorge e si materializza all’interno della normale evoluzione dei rapporti di produzione, come contrasto “in cui l'industria si è venuta formando rispetto all'agricoltura”, dal feudalesimo al capitalismo per poi tramontare con l’ulteriore sviluppo di fase all’interno della società capitalistica. Tale contrasto rimane, scrive Marx, “sino a che l'industria (la vita cittadina) si costituisce avendo di fronte il possesso fondiario (la vita aristocratica del feudo) e reca ancora in se stessa il carattere feudale di questo contrasto sotto forma di monopoli, consorterie, gilde, corporazioni, ecc., situazioni storiche determinate entro le quali il lavoro ha ancora un significato apparentemente sociale, ha ancora il significato della comunità reale, non è ancora arrivato sino all'indifferenza rispetto al proprio contenuto, cioè non è arrivato ancora ad essere completamente indipendente, cioè ad essere astratto da ogni altro essere e quindi anche ad essere un capitale emancipato.”
L’evoluzione necessaria della società, determinata dall’evoluzione necessaria dei suoi rapporti sociali di produzione e, nella produzione, di scambio, porta al capitale emancipato, ovvero al capitale indipendente, indifferente e slegato da qualsiasi significato sociale. Tale distacco si materializza quando l’agricoltura termina di essere feudale e si trasforma in industria, ovvero si materializza come riporta Marx alla “nascita dell’agricoltura come industria reale, mentre prima essa abbandonava il lavoro principale alla terra e allo schiavo di questa terra, mediante il quale la terra si coltivava da sé sola. Con la trasformazione dello schiavo in un libero lavoratore, cioè in un salariato, il padrone terriero in sé si trasforma in un padrone industriale, in un capitalista, trasformazione che avviene in un primo tempo per l'intermediazione dell'affittuario.”
Continua Marx che soltanto attraverso il capitalista affittuario “il proprietario fondiario viene ad esistenza nei termini dell'economia politica, come proprietario fondiario, perché la rendita fondiaria della sua terra non esiste che attraverso la concorrenza degli affittuari. Quindi, il padrone terriero è diventato essenzialmente già nell'affittuario un capitalista comune.” E ciò sino a quando la figura del proprietario fondiario viene risucchiata da quella del capitalista agricolo. Ovvero, il capitalista affittuario diventa proprietario lui stesso della terra, oppure il proprietario fondiario si fa capitalista con la proprietà di lavoro accumulato pronto per la produzione agricola.
Nella transizione dai rapporti feudali a quelli capitalistici, e con lo sviluppo di questi ultimi, il capitalista in quanto attore della produzione subentra al proprietario fondiario, e la classe dei capitalisti va inglobando sia i cosiddetti capitalisti industriali, della fabbrica, sia i cosiddetti capitalisti agricoli, della terra. Il feudalesimo è ormai nel passato ed emerge prepotente la proprietà privata “incivilita” dei mezzi di produzione sulla semi-proprietà ancora barbara. Scrive Marx: “il movimento deve ormai avere il sopravvento sull'immobilità; la volgarità aperta, cosciente di sé sulla volgarità nascosta e incosciente, la brama del possesso su quella del godimento, l'egoismo irrequieto, mobile della ragione rischiaratrice sopra l'egoismo locale, prudente, probo, pigro e fantastico della superstizione.”
Tale sopravvento è, quindi, da considerare quello del capitale emancipato sul capitale non emancipato poiché ancora appesantito e dipendente da pregiudizi sovrastrutturali, incatenanti. E ciò specularmente implica il sopravvento del lavoro completamente estraniato sul lavoro ancora apparentemente sociale. Ora, dato che i rapporti sociali di produzione borghesi si ergono sui rapporti di proprietà privata dei mezzi di produzione, proprietà del capitalista, tali rapporti di proprietà privata consistono nel lavoro immediato, nel capitale e nella relazione tra di essi.