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Perché l’operaio non si ribella contro lo sfruttamento del capitalista? In evidenza
In questa lezione del seminario “Incontro con Lenin”, continuiamo a trattare il testo di Lenin “Tre fonti e tre parti integranti del marxismo”, continuando a discutere dell’economia politica.
Continuiamo la nostra esposizione con il concetto della merce forza-lavoro e del suo valore, che abbiamo introdotto la scorsa volta. Abbiamo discusso precedentemente del valore della merce, e con ciò intendiamo una merce qualsiasi, mentre ora ci focalizzeremo su una merce particolare come è particolare la forza-lavoro.
Video-lezione disponibile sul canale YouTube della Scuola Rossa: https://youtu.be/km19ayTsi1c?si=TeAiYlHi_jEErE69
Sappiamo già cosa è la forza-lavoro e ciò che la distingue dal lavoro in quanto attività. La forza-lavoro è la capacità lavorativa (energia muscolare, capacità mentale, abilità, etc.) che l'operaio possiede, che deve essere continuamente riprodotta, e che consente all’operaio di effettuare un lavoro concreto (ad esempio, di fabbricare un determinato oggetto). Tale lavoro concreto è cosa del tutto diversa dalla capacità di lavoro (o forza-lavoro) che l’operaio possiede. La forza-lavoro è ciò che l’operaio vende e tramite la vendita si mette a disposizione del capitalista per un determinato periodo di tempo. Per esempio, otto ore al giorno, 40 ore a settimana, e così via. L’operaio non vende la propria forza-lavoro al capitalista per un periodo temporale indeterminato, infinito, altrimenti la condizione di operaio sarebbe infinita e ciò equivarrebbe alla situazione in cui l’operaio vende la propria forza-lavoro una sola volta per sempre. Situazione questa indistinguibile dallo schiavo il quale è merce lui stesso ma non la propria forza-lavoro. Vendere la propria forza-lavoro infatti implica venderla per periodi determinati e finiti di tempo.
Scrive Marx che
se fosse permesso all'uomo di vendere la sua forza-lavoro per un tempo illimitato, la schiavitù sarebbe di colpo ristabilita. Una tale vendita, se fosse conclusa, per esempio per tutta la vita, farebbe senz'altro dell'uomo lo schiavo a vita del suo imprenditore.
La questione, quindi, che si chiede Marx in termini molto semplici ma che a noi serve come strumento educativo per la classe operaia è la seguente: come è accaduto e come avviene che un gruppo sociale di individui acquisti una merce per fare profitto e, quindi, arricchirsi e un altro gruppo sociale di individui venda la stessa merce per sopravvivere e riprodursi? Da cosa dipende, scrive Marx, che ci siano
un gruppo di compratori che posseggono terra, macchine, materie prime e i mezzi di sussistenza, tutte cose che, all'infuori del suolo al suo stato naturale, sono prodotti del lavoro, e d'altra parte un gruppo di venditori che non hanno altro da vendere che la loro forza-lavoro, le loro braccia e il loro cervello lavoranti?
Per rispondere a questi quesiti dobbiamo partire dalla cosiddetta “accumulazione originaria”, ovvero quel processo storico o serie di processi storici che portarono alla dissociazione dei produttori dai propri mezzi di produzione.
Il distacco del lavoratore che possiede i propri strumenti del lavoro dagli strumenti del lavoro significò rendere il lavoratore nudo, senza strumenti per la vita. Il lavoratore, il produttore, non avendo più la proprietà dei mezzi di produzione può solo vendere se stesso per periodi limitati di tempo, vendere quindi la propria forza-lavoro per tempi di lavoro definiti. Il lavoratore, seppur senza più la proprietà degli strumenti del lavoro per la produzione, possiede però una merce, un oggetto che è valore d’uso e ha valore, e in quanto merce è scambiabile con altre merci: la forza-lavoro. Come definiamo, quindi, il valore della forza-lavoro?
Il valore della forza-lavoro è determinato nello stesso modo in cui abbiamo determinato il valore di una merce qualsiasi nelle passate lezioni, ovvero dalla quantità di tempo di lavoro socialmente necessaria alla sua produzione. Il valore della forza-lavoro è quindi determinato dalla quantità di tempo socialmente necessaria alla produzione della forza-lavoro stessa. Come si produce la merce forza-lavoro? La forza-lavoro dell’operaio è energia muscolare, capacità mentale, abilità, ecc.; è l’operaio vivente e per vivere, conservarsi e riprodursi necessita di un certo ammontare di beni si sussistenza. Non basta la vita in quanto conservazione della vita, la mera sopravvivenza; è necessario che l’operaio in quanto classe sociale si rigeneri, si riproduca perché il capitalismo richiede e richiederà sempre il servizio salariato degli operai.
Scrive Marx che
affinché un uomo possa crescere e conservarsi in vita, deve consumare una determinata quantità di generi alimentari. Ma l'uomo, come la macchina, si logora, e deve essere sostituito da un altro uomo. In più della quantità d'oggetti d'uso corrente, di cui egli ha bisogno per il suo proprio sostentamento, egli ha bisogno di un'altra quantità di oggetti d'uso corrente, per allevare un certo numero di figli, che debbono rimpiazzarlo sul mercato del lavoro e perpetuare la razza degli operai.
Stiamo qui trattando dell’operaio semplice, della forza-lavoro in quanto presenza fisica e mentale semplice, senza alcun grado di complessità in termini di qualifica, esperienza, competenza, istruzione. Aggiungere complessità significa aggiungere “quantità di tempo di lavoro”, quindi valore.
Certamente, così come i costi di produzione di forza-lavoro di diversa qualità sono diversi, così sono diversi i valori delle forze-lavoro impiegate nelle diverse industrie, e ciò implica che i salari non possono essere uguali, poiché sono diversi i valori di forze-lavoro di qualità diverse, impiegate quindi in filoni di produzione differenti. E scrive Marx, che
poiché diverse specie di forza-lavoro hanno un diverso valore, richiedono cioè diverse quantità di lavoro per la loro produzione, esse debbono avere un prezzo diverso sul mercato del lavoro.
Forze-lavoro qualitativamente differenti hanno valori diversi poiché diversi sono i costi di produzione di tali forze-lavoro, e diversi quindi sono i prezzi di mercato di queste forze-lavoro che vengono acquistate dalla classe sociale dei capitalisti nei diversi rami di produzione. I costi di produzione di un operaio specializzato sono più alti dei costi di produzione di un operaio semplice poiché maggiore è stata la quantità di tempo di lavoro socialmente necessaria alla sua produzione, e con produzione includiamo anche la sua formazione speciale, e di conseguenza maggiore è il valore della forza-lavoro dell’operaio specializzato e maggiore sarà il suo prezzo sul mercato del lavoro rispetto all’operaio semplice. In definitiva, maggiore sarà il suo salario.
Tali prezzi di mercato, i salari, che sono i valori delle differenti merci forze-lavoro in denaro corrispondono alla somma dei valori d’uso che sono necessari alla vita, alla conservazione e alla riproduzione ed eventualmente alla formazione e a tutto ciò che rende l’operaio atto ad un determinato lavoro produttivo, sia esso semplice o complesso.
Prendiamo un esempio da Marx. Supponiamo che la produzione della quantità media di beni di sussistenza necessari alla vita di un operaio richieda sei ore di lavoro medio. Supponiamo inoltre che in 6 ore di lavoro medio siano incorporate in una quantità d'oro uguale a tre scellini. In questo caso tre scellini sarebbero il prezzo o l'espressione monetaria del valore giornaliero della forza-lavoro di quell’operaio. Se egli lavorasse sei ore al giorno, produrrebbe ogni giorno un valore sufficiente per comperare la quantità media dei beni di sussistenza di cui ha bisogno quotidianamente, cioè per conservarsi come operaio.
Ma il soggetto-operaio è un salariato, e di conseguenza deve vendere la propria forza-lavoro a un capitalista. Vendere la propria forza-lavoro per tre scellini al giorno significa venderla secondo il suo valore. Con un giorno di lavoro di 6 ore, significa che l’operaio aggiunge all’oggetto in produzione un valore di 3 scellini al giorno. Questo valore che egli aggiunge giornalmente al cotone costituirebbe un equivalente esatto del salario, o del prezzo, che egli riceve giornalmente per la sua forza-lavoro. In questo caso però il capitalista non riceverebbe nessun plusvalore, o nessun sovraprodotto, poiché non vi è alcun plus-lavoro.
Da una parte abbiamo, quindi, il valore della forza-lavoro il quale è determinato dalla quantità di tempo di lavoro socialmente necessaria alla sopravvivenza, alla conservazione e alla riproduzione, e tale quantità di tempo non ha rapporti con la quantità di tempo che l’operaio dedica, poiché contrattualmente previsto, all’atto della produzione. Tale quantità di tempo all’interno dei rapporti sociali di produzione capitalistici deve essere maggiore del valore della forza-lavoro e minore del limite psico-fisico dell’operaio. Abbiamo quindi un limite inferiore e un limite superiore dato dalle energie vitali psico-fisiche dell’operaio.
Scrive Marx che
il valore giornaliero o settimanale della forza-lavoro è una cosa completamente diversa dall'esercizio giornaliero o settimanale di essa, allo stesso modo che sono due cose del tutto diverse il foraggio di cui un cavallo ha bisogno e il tempo per cui esso può portare il cavaliere.
Riprendendo l’esempio del salario di 3 scellini e delle 6 ore di lavoro, abbiamo visto come con un lavoro medio di 6 ore giornaliere l’operaio copre le sue necessità in termini di beni di sussistenza che vanno a coprire i suoi bisogni e contemporaneamente aggiunge all’oggetto in produzione un valore di 3 scellini. Non vi è qui alcun plus-lavoro se le 6 ore sono ore lavorate per giorno. Naturalmente l’operaio può lavorare di più, 9 ore invece di 6, aggiungendo valore: 1,5 scellini per le 3 ore in più lavorate. Ma questi 1,5 scellini non sono parte del salario dell’operaio che rimane fermo a 3 scellini poiché tale è il valore in denaro del cestino dei beni di sussistenza di cui l’operaio ha bisogno per sopravvivere e riprodursi. Le 3 ore in più sono il plus-lavoro, e 1,5 scellini costituiscono il plusvalore che non va in tasca all’operaio ma al capitalista.
Riprendendo le parole di Marx, raddoppiamo la quantità di tempo di lavoro che l’operaio deve dedicare all’atto della produzione. Scrive Marx che
pagando il valore giornaliero o settimanale della forza-lavoro del filatore, il capitalista ha acquistato il diritto di usare questa forza-lavoro per tutto il giorno o per tutta la settimana. Perciò, egli lo farà lavorare, supponiamo, dodici ore al giorno. Oltre le sei ore che gli sono necessarie per produrre l'equivalente del suo salario, cioè del valore della sua forza-lavoro, il filatore dovrà dunque lavorare altre sei ore, che io chiamerò le ore di pluslavoro, e questo pluslavoro si incorporerà in un plusvalore e in un sovraprodotto. Se per esempio il nostro filatore, con un lavoro giornaliero di sei ore, ha aggiunto al cotone un valore di tre scellini, un valore che rappresenta un equivalente esatto del suo salario, in dodici ore egli aggiungerà al cotone un valore di sei scellini e produrrà una corrispondente maggiore quantità di filo. Poiché egli ha venduto la sua forza-lavoro al capitalista, l'intero valore, cioè il prodotto da lui creato, appartiene al capitalista, che è, per un tempo determinato, il padrone della sua forza-lavoro. Il capitalista dunque anticipando tre scellini, otterrà un valore di sei scellini, perché, anticipando un valore in cui sono cristallizzate sei ore di lavoro, egli ottiene, invece, un valore in cui sono cristallizzate dodici ore di lavoro. Se egli ripete questo processo quotidianamente il capitalista anticipa ogni giorno tre scellini e ne intasca sei, di cui una metà sarà nuovamente impiegata per pagare nuovi salari, e l'altra metà formerà il plusvalore, per il quale il capitalista non paga nessun equivalente. È su questa forma di scambio tra capitale e lavoro che la produzione capitalistica o il sistema del salariato è fondato, e che deve condurre a riprodurre continuamente l'operaio come operaio e il capitalista come capitalista.
Abbiamo qui esposto questo chiarissimo passaggio di Marx che rende evidente il conflitto sociale e lo sfruttamento dell’operaio da parte del capitalista. Il grado di questo sfruttamento è calcolato dal saggio del plusvalore, ovvero dal rapporto tra il plusvalore e il capitale variabile anticipato, in altre parole dal rapporto tra la quantità di tempo di lavoro supplementare che l’operaio regala al capitalista e la quantità di tempo di lavoro socialmente necessario alla produzione dei beni di sussistenza necessari all’operaio per la soddisfazione dei propri bisogni assoluti e che l’operaio vede e tocca come salario nominale. Oppure, in altri termini, il grado di sfruttamento della forza-lavoro è il rapporto tra il plus-lavoro, lavoro non remunerato, e lavoro necessario alla produzione del valore d’uso forza-lavoro.
Perché allora l’operaio salariato non si scuote, non si ribella contro lo sfruttamento da parte del capitalista? Sfruttamento che è il DNA del capitalismo poiché senza plus-lavoro intascato dal capitalista in termini di plusvalore non potrebbe esistere il capitale poiché nessun individuo in possesso di lavoro accumulato attiverebbe mai il rapporto sociale con il venditore della forza-lavoro senza l’aspettativa di intascare un profitto.
Lo scrive chiaramente Marx:
se il prezzo della sua forza-lavoro è di tre scellini, nei quali sono incorporate sei ore di lavoro, e se egli lavora dodici ore, egli considera necessariamente questi tre scellini come il valore o il prezzo di dodici ore di lavoro, quantunque queste dodici ore di lavoro rappresentino un valore di sei scellini.
In altre parole, l’operaio è convinto che il suo salario sia equivalente alla quantità di tempo di lavoro che egli dedica al suo stesso lavoro, e non invece alla quantità di beni di sussistenza che gli sono necessari per la vita, la conservazione e la riproduzione, e tale convinzione non accende in lui alcuna domanda, alcun dubbio se ciò sia in effetti corrispondente alla realtà. La mancanza di una chiara educazione della classe operaia, quindi, porta la classe operaia stessa ad accogliere la retorica della borghesia a braccia aperte.
Scrive Marx che
questa falsa apparenza distingue il lavoro salariato dalle altre forme storiche del lavoro. Sulla base del sistema del salario anche il lavoro non pagato sembra essere lavoro pagato.
La parte pagata e la parte non pagata del lavoro sono confuse in modo inscindibile.
In sintesi, abbiamo supposto che la produzione della quantità media di beni di sussistenza necessari alla vita di un operaio richieda sei ore di lavoro medio e che sei ore di lavoro medio siano incorporate in una quantità d'oro uguale a tre scellini. In questo caso tre scellini sarebbero il prezzo o l'espressione monetaria del valore giornaliero della forza-lavoro di quell’operaio. In altre parole, il salario nominale. Se egli lavorasse sei ore al giorno, produrrebbe ogni giorno un valore sufficiente per comperare la quantità media dei beni di sussistenza di cui ha bisogno quotidianamente, cioè per conservarsi come operaio.
Abbiamo anche visto che un giorno di lavoro medio di 6 ore, significa che l’operaio aggiunge all’oggetto in produzione un valore di 3 scellini al giorno. Questo valore che egli aggiunge giornalmente, per esempio al cotone, costituisce un equivalente esatto del salario, o del prezzo, che egli riceve giornalmente per la sua forza-lavoro. E in questo caso il capitalista non riceverebbe nessun plusvalore, o nessun sovraprodotto, poiché non vi è alcun pluslavoro.
Naturalmente l’operaio non lavora solo il tempo necessario, giornalmente, che è equivalente all’esatto del suo salario. L’operaio lavora molto di più, e quindi aggiunge molto più valore all’oggetto in produzione, poiché in ciò consiste il capitalismo. Abbiamo supposto che il capitalista fa lavorare l’operaio dodici ore al giorno. Oltre le sei ore che gli sono necessarie per produrre l'equivalente del suo salario, cioè del valore della sua forza-lavoro, l’operaio dovrà dunque lavorare altre sei ore gratuitamente.
Quindi, da una parte abbiamo che la produzione della quantità media di beni di sussistenza necessari alla vita di un operaio richiede, giornalmente, sei ore di lavoro medio, che corrispondono a tre scellini; dall’altra parte l’operaio lavora per dodici ore di lavoro oggettivando il valore di 6 scellini invece di 3 scellini nell’oggetto in produzione. Lavorando quindi 6 ore in più gratuitamente produce 3 scellini in più di valore che non intasca lui stesso, ma vengono intascati dal capitalista.
Supponiamo ora che nella materia prima, negli strumenti della produzione, nelle materie ausiliarie, ecc. impiegate per una determinata merce siano incorporate 24 ore di lavoro medio. Se 6 ore di lavoro corrispondono a un valore in denaro di 3 scellini, 24 ore di lavoro medio determinano un valore di 12 scellini.
12 scellini corrispondono al valore del capitale costante (24 ore), 6 scellini (12 ore) corrispondono al valore che dodici ore di lavoro incorporano nell’oggetto prodotto. Il valore complessivo dell’oggetto prodotto sarà quindi di 36 ore di lavoro materializzato equivalente a 18 scellini. 15 scellini anticipati dal capitalista, quindi: 12 di capitale costante e 3 di salario. Poi il capitalista vende la merce prodotta a 18 scellini corrispondente al valore della merce prodotta. La differenza di 18 (scellini) – 15 (scellini) = 3 (scellini) equivale al valore in denaro delle 6 ore in più lavorate gratuitamente dall’operaio.
Scrive quindi Marx che
il capitalista, vendendo questa merce al suo valore, a diciotto scellini, realizza dunque un valore di tre scellini per il quale non ha pagato nessun equivalente. Questi tre scellini costituiranno il plusvalore o profitto che egli intasca. Il capitalista otterrà dunque il profitto di tre scellini non vendendo la merce a un prezzo superiore al suo valore, ma vendendola al suo valore reale.
Il prezzo di vendita, di mercato, della merce abbiamo visto essere uguale in media e nel lungo periodo al prezzo normale, ovvero al valore in denaro della merce stessa. Una volta che le fluttuazioni tra domanda e offerta sono annullate. La merce viene venduta al suo valore, il quale è la somma totale del tempo di lavoro che è stato socialmente necessario per produrre tale merce. I 18 scellini infatti contengono anche la quantità di tempo di lavoro socialmente necessario per la produzione del capitale costante.
Vendere ora la merce prodotta al suo valore in denaro significa venderla per un profitto. In altre parole, la merce viene venduta al suo valore che contiene i costi anticipati dal capitalista più ciò che non gli è costato nulla, a prescindere dal salario dell’operaio.
Introduciamo ora alcuni concetti relativi alla scomposizione del plusvalore in diverse categorie.
Scrive Marx che
il plusvalore, cioè quella parte del valore complessivo della merce in cui è incorporato il pluslavoro o lavoro non pagato dell'operaio, io lo chiamo profitto. Questo profitto non viene intascato tutto dall'imprenditore capitalista.
In altre parole, il plusvalore è profitto potenziale; il profitto è plusvalore materializzato, realizzato.
Ci sono in effetti altri attori che potrebbero entrare in scena e sono il proprietario fondiario che riceve parte del plusvalore sotto il nome di rendita fondiaria e il prestatore di denaro, il cui ammontare equivale ad una certa somma di valori d’uso differenti, di mezzi di produzione, il quale riceve dal capitalista che è dentro la produzione una parte del plusvalore sotto il nome di interessi. Il capitalista che è dentro la produzione, ovvero colui che compra la forza-lavoro e impiega il capitale costante per l’atto della produzione è definito come l’imprenditore capitalista. Le banche, ma anche i singoli possessori di denaro, sono coloro che prestano appunto denaro ricevendo indietro interessi; denaro che serve all’imprenditore capitalista per l’acquisto del lavoro accumulato. E infine, abbiamo il possessore della terra per il quale la terra è merce e non mezzo di produzione, che riceve dall’imprenditore capitalista la rendita fondiaria per l’affitto stesso della terra.
Scrive Marx che
il monopolio del suolo pone il proprietario fondiario nella condizione di appropriarsi di una parte di questo plusvalore, sotto il nome di rendita fondiaria, indipendentemente dal fatto che questo suolo sia usato per l'agricoltura, per edifici, per ferrovie, o per qualsiasi altro scopo produttivo. D'altra parte, il fatto stesso che il possesso degli strumenti di lavoro dà la possibilità agli imprenditori capitalisti di produrre un plusvalore, o, il che è poi la stessa cosa, di appropriarsi di una certa quantità di lavoro non pagato, questo fatto consente al proprietario dei mezzi di lavoro, che egli presta in tutto o in parte all'imprenditore capitalista, cioè, in una parola, consente al capitalista che presta il denaro di reclamare per sé un'altra parte di questo plusvalore, sotto il nome di interesse, cosicché all'imprenditore capitalista come tale non resta che il cosiddetto profitto industriale o commerciale.
Abbiamo quindi che il plusvalore, il quale è l’extra valore creato dall’operaio salariato, industriale o agricolo, viene suddiviso potenzialmente tra rendita fondiaria, interesse e il profitto industriale. La vita e la soddisfazione dei bisogni del proprietario fondiario, del proprietario dei mezzi di produzione tramite il prestito di denaro e l’imprenditore capitalista sono possibili grazie alla quantità di tempo di lavoro extra, non pagato, che il salariato spende nella produzione della merce che poi viene venduta al suo valore, e ciò a prescindere dal prezzo della forza-lavoro.
I denari intascati da queste figure non salariate non derivano, scrive Marx,
dal suolo come tale o dal capitale come tale; ma suolo e capitale danno la possibilità ai loro proprietari di ricevere la loro parte rispettiva del plusvalore che l'imprenditore capitalista spreme dall'operaio.
È evidente che nel caso l’imprenditore capitalista sia egli stesso proprietario dei mezzi di produzione, del capitale, e quindi capitalista a tutti gli effetti, e proprietario della terra, intascherebbe l’intero plusvalore. Naturalmente all’operaio salariato, sia egli industriale o agricolo, non interessa affatto a chi va il plusvalore. Ciò che invece dovrebbe interessargli è il fatto di essere colui, e di essere il solo, che con il proprio lavoro non remunerato fa “campare” (vivere bene) gli altri attori che direttamente o indirettamente entrano nella produzione.
Scrive Marx che
l'imprenditore capitalista è colui che spreme direttamente dall'operaio questo plusvalore, indipendentemente dalla parte che alla fine egli potrà trattenere per sé. Questo rapporto fra l'imprenditore capitalista e l'operaio salariato è dunque il perno di tutto il sistema del salario e di tutto l'attuale sistema di produzione.