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Stalin, l'erede di Lenin: difesa e arricchimento del leninismo contro Trotsky, Kamenev, Zinoviev, Bucharin e tanti altri
di Amedeo Curatoli
Breve premessa: ci saranno sicuramente alcuni (o tanti) compagni, o altri compagni di strada che hanno idee generiche non ostili al comunismo (di cui però hanno sempre sentito parlar male) ai quali può capitare di dare uno sguardo al titolo di questa nostra nota. Penseranno probabilmente: “Uffa, che noia!...ma guardiamo al nostro presente schifoso e a un possibile futuro meno penoso piuttosto che star lì a rinvangare un passato morto e sepolto che non ci appartiene più!…”.
Bene, questo richiamo a stare con i piedi per terra si presenta come un discorso apparentemente concreto, ma invece è superficiale e astratto, è, in sostanza, l’aspirazione ad un “altro mondo possibile” di bertinottiana memoria, “compatibile”, “sostenibile”, ma senza rivoluzione. E ora veniamo alla nostra questione di teoria, rischiando di dire cose già dette, perché forse molti altri compagni condividono le considerazioni che svolgeremo, ma che è bene ripetere però, perché, come dice il proverbio latino, repetita juvant.
La “questione di Stalin”, in ultima analisi, è la questione di Lenin. Il rapporto fra Lenin e Stalin è lo stesso che intercorse fra Marx ed Engels. Sono quattro giganti della storia, i primi due hanno rivoluzionato il mondo a) con la loro filosofia (“non bisogna più interpretare il mondo ma cambiarlo”); b) con la loro scoperta -o per meglio dire, con la loro integrazione rivoluzionaria della filosofia di Hegel- del materialismo storico e dialettico; c) con la loro geniale analisi dei meccanismi economici della società borghese (“Il Capitale”), di cui si sottace il fatto che Engels ha dato un contributo fondamentale a far conoscere tutta l’opera e non solo il primo volume pubblicato da Marx quand’era ancora in vita. Engels è stato in grado -e solo lui poteva farlo- di completare l’immenso lavoro del suo grande amico di una vita e compagno di lotte, riordinandone i manoscritti e le centinaia di note sparse che li accompagnavano, nei due successivi volumi del Capitale; d) Marx ed Engels hanno dato coscienza ai proletari di tutto il mondo del loro ruolo rivoluzionario fondando la Prima Internazionale, e 23 anni dopo hanno esaltato la Comune di Parigi come “l’araldo glorioso di una nuova società”.
Lenin è stato il grande teorico che ha attualizzato il marxismo nell’epoca dell’imperialismo e ha indicato alla classe operaia, passo dopo passo, la strada da seguire per la conquista del potere politico in un paese gigantesco come la decrepita Russia zarista. Anche quella di Lenin è stata un’opera teorica e pratica che ha rivoluzionato il mondo. Morto prematuramente all’inizio del 1924, la sua opera titanica è stata ereditata e portata avanti da Stalin che ha condotto la Russia sovietica, uscita semidistrutta da una guerra civile fomentata dall’Occidente imperialista, al rango di seconda potenza mondiale. Lenin è sempre stato considerato da Stalin il suo maestro. Ma Stalin non fu un semplice discepolo di Lenin. Nel difendere il leninismo nella lotta teorica e di principio che si trovò a dover affrontare all’indomani stesso della scomparsa di Lenin, contro Trotsky, Kamenev, Zinoviev e successivamente contro Bucharin, Stalin ha arricchito il leninismo di notevoli contributi teorici, a partire dal discorso “Trotskismo o leninismo?” del 1924 (Stalin, Opere complete, vol. 6°, Ediz. Rinascita, pag. 387), e successivamente nei discorsi tenuti: 1) alle sessioni plenarie dei Comitati Centrali del PC (b) dell’URSS; 2) alle Conferenze di Partito; 3) nei rapporti politici tenuti al 14°e 15° Congresso del PC (b) dell’URSS; 4) alle Sessioni allargate del Comitato esecutivo dell’Internazionale Comunista; 5) ed anche in altri discorsi pronunciati in varie occasioni e interviste a corrispondenti stranieri. Si trovano nei volumi 6°, 7°, 8°, 9°, e 10° delle opere complete di Stalin - interrotte dalla controrivoluzione kruscioviana al 10° volume. Il contenuto teorico di quella battaglia anti-trotskista è talmente importante, istruttivo e innovativo, che il Partito Comunista Cinese ha raccolto tutti quegli interventi in un volume di 921 pagine: “J. V. Stalin, On the opposition (1921-27)” pubblicato dalle Edizioni in lingue estere, Beijing, 1974.
Stalin ha scritto inoltre due capisaldi fondamentali di teoria marxista: “Questioni del leninismo”, e “Principi del leninismo” che non sono una semplice illustrazione del leninismo, ma ne costituiscono un notevole arricchimento. Come è un arricchimento del leninismo la “Storia del PC(b) - breve corso” Scritto da Stalin e da esponenti dei vertici del Partito. L’ultima sua opera è stata l’importantissimo “Problemi economici del socialismo in Urss” pubblicato poco prima della sua morte. Egli è stato anche lo stratega militare della Guerra patriottica vittoriosa contro l’aggressione nazista, ciò che si evince dai suoi magnifici “Discorsi di guerra”.
Concetto Marchesi, storico della letteratura latina e membro del Comitato centrale del PCI, che non ha mai condiviso la cosiddetta “destalinizzazione” kruscioviana a cui si sono invece associati i revisionisti moderni tra cui il rinnegato Togliatti disse: “Tiberio, uno dei più grandi e infamati imperatori di Roma, trovò il suo implacabile accusatore in Cornelio Tacito, il massimo storico del principato. A Stalin, meno fortunato, è toccato Nikita Krusciov”. E i danni arrecati alla figura di Stalin nel famigerato rapporto “segreto” del viscido traditore e volgare e violento mentitore Nikita, sono stati sicuramente, per l’impatto mondiale che hanno avuto, di proporzioni catastrofiche di gran lunga maggiori di quelli arrecati da Tacito a Tiberio. Da quel momento, tutta la mastodontica macchina mediatica e “culturale” dell’imperialismo occidentale, si è impossessata di questo inaspettato dono, offertogli su un piatto d’oro da Krusciov, e ha trasfigurato questo gigante della Storia in un criminale sanguinario.
Ecco dunque una questione di principio che deve essere alla base del bilancio storico dell’URSS: Stalin è stato un gigante della Storia, è stato lo stretto compagno d’armi di Lenin, ha portato a compimento, con grande saggezza e con mano ferma, nel corso di trenta anni, l’edificazione del socialismo in un paese sterminato. Non esiste, non può esistere uno “stadio superiore del marxismo leninismo”: questi quattro titani (Marx ed Engels, e poi Lenin e Stalin) sono stati gli artefici della teoria e della prassi della rivoluzione socialista, sono stati i pionieri che hanno aperto la strada del potere, per la prima volta nella storia dell’umanità, alle maggioranze diseredate ed espropriate di tutto, spesso anche del diritto alla vita. Le rivoluzioni socialiste successive ancorché abbiano imboccato strade diverse e originali dovute alle congiunture internazionali del momento e alle caratteristiche storiche dei paesi in cui sono avvenute, ed abbiano espresso grandi dirigenti rivoluzionari, hanno dovuto tutte, senza eccezioni, far riferimento non dogmatico, ma creativo, al gigantesco patrimonio teorico e di prassi politica rivoluzionaria degli iniziatori. E questo accadrà anche per le future rivoluzioni socialiste nel mondo, per quanto inaspettate ed imprevedibili possano essere le condizioni storico-concrete nazionali e internazionali in cui agiranno tali rivoluzioni.
Ma della infame diceria “Stalin dittatore sanguinario” la storia si sta vendicando: è tale la mole di documenti che provano le menzogne anti-Stalin pronunciate da Trotsky prima, e 16 anni dopo da Krusciov, che molti compagni, qui da noi, dapprima convinti o semiconvinti trotskisti, si sono via via trasformati in accusatori di Trotsky, giungendo addirittura, con 52 anni di ritardo (ma meglio tardi che mai…) a farsi “difensori” della figura di Stalin. 52 anni significa: dalla nascita del movimento marxista leninista nel nostro paese nel 1966 ad oggi. Fra i documenti che provano in via definitiva che il “grande terrore stalinista” è una menzogna (menzogna che ha infettato il cervello anche di tanti comunisti dall’epoca togliattiana fino ai nostri giorni) uno è assolutamente centrale, un pilastro che deve trovar posto, obbligatoriamente, nel bilancio storico dell’URSS dell’epoca di Stalin: i Processi di Mosca del 1936, 1937 e 1938 di cui abbiamo già tradotto e pubblicato il primo, e tra non molto pubblicheremo il secondo (del ’37) e successivamente il terzo (del ’38). Lo smascheramento e la distruzione della congiura antisovietica zinovievista-trotskista- buchariniana ha sicuramente svolto un ruolo importante e positivo quando, pochissimi anni dopo, Hitler aggredì proditoriamente l’URSS. Quello fu un attacco genocida e distruttivo costato 27 milioni di morti ai popoli sovietici, e si può immaginare quanto sarebbe stato ancora più lungo e penoso e gravido di ulteriori tormenti e perdite umane il momento della controffensiva generale dell’Esercito Rosso, se i criminali cospiratori non fossero stati scoperti e avessero avuto la possibilità di agire per “aprire il fronte interno” alle armate di Hitler! In quegli storici processi svolti in presenza della stampa mondiale e dei diplomatici di paesi stranieri accreditati a Mosca, fu smascherata in via definitiva la Quinta Colonna del nazismo hitleriano e del fascismo giapponese in terra sovietica. Su quella Quinta Colonna fondavano le loro speranze la macchina bellica hitleriana e quella giapponese. Ma anche tutto l’Occidente imperialista, che ha sempre vomitato fango anticomunista sull’Unione Sovietica, trovò il modo di associarsi ai governi tedesco e giapponese per attaccare quei processi. Ed a questa infame bisogna si associò anche la socialdemocrazia europea. Fu tutto un coro di plateali menzogne per delegittimare le agghiaccianti confessioni dei congiurati zinovievisti, trotskisti e buchariniani; si fece ricorso a qualsiasi artificio e arzigogolo, senza tema di coprirsi di ridicolo, pur di negare l’autenticità di quelle confessioni.
Alla fine, questo documento storico dell’Unione Sovietica ha finito con l’essere definitivamente sotterrato. Chi diede argomenti alla stampa imperialista per delegittimare i Processi di Mosca fu Trotsky (le cui dichiarazioni e iniziative politiche ebbero sempre un forte impatto mediatico nell’occidente borghese) con un libro: “The stalinist bureaucracy and the assassination of Kirov” (dicembre 1934); e due discorsi: 1) “I stake my life” (metto in gioco la mia vita) (febbraio 1937) registrato per i suoi seguaci di New York; 2) “The Moscow trials” (aprile 1937), che fu la sua autodifesa al contro-processo farsa di Città del Messico a cui si prestò un anticomunista di rango, il pedagogista statunitense Dewey, che passava per il “padre della democrazia liberale” nel suo paese. Questo discorso di Trotsky fu particolarmente repellente, dal punto di vista etico ed umano, perché, per difendere se stesso, attaccò ed ingiuriò senza vergogna i congiurati che furono giustiziati a Mosca per aver seguito le sue direttive criminali.
Qual è stato il destino dei Processi di Mosca in Italia?
Innanzitutto, Togliatti ha delittuosamente evitato di farli tradurre in italiano e pubblicarli. Ci ha pensato Feltrinelli, per nostra fortuna di comunisti, a stamparli in reprint dagli originali (in lingua francese) nel 1967; poi, (e forse in connessione con l’iniziativa di Feltrinelli) sono seguiti “I Processi di Mosca” a cura di Pier Luigi Contessi (ediz. Il Mulino, 1970), successivamente “I grandi processi di Mosca” a cura di Giuseppe Averardi, commissionatogli dal rinnegato Eugenio Reale (ediz. Rusconi 1977) a cui è seguito 25 anni dopo, il libro di Silvio Pons:“Stalin e la guerra inevitabile” (Einaudi editore 1995).
Si tratta di tre libri infami, anticomunisti e stalinofobi, con lunghissime prefazioni volte ad influenzare pesantemente il lettore, il quale, nel leggere i resoconti stenografici degli interrogatori (riassunti arbitrariamente e per scelte mirate) li vedrà come demoniaca macchinazione del sanguinario “stalinismo” che fa ammazzare degli innocenti i quali, pur sapendo di andare a morire, si autoaccusano di crimini non commessi, perdendo così non solo la vita, ma anche l’onore (cose che solo un demone può ottenere). Insomma tre libri-spazzatura perfettamente in linea con le campagne demonizzatrici dei Processi di Mosca (stampati dal Governo sovietico -sempre per nostra fortuna) all’indomani stesso in cui tali processi vennero celebrati. Recentemente è stato pubblicato “Il volo di Piatakov” che fa riferimento ad un episodio di grande importanza, l’incontro clandestino fra Trotsky e Piatakov, avvenuto nel dicembre del 1935 in un appartamento alla periferia di Oslo di cui parla Piatakov nel secondo Processo del 1937. È un libro di 600 pagine di cui abbiamo scorso, gratuitamente i primi 7 capitoli messi sul sito di Sidoli. Nel primo capitolo gli autori hanno fatto ampio riferimento al libro-spazzatura di Pierluigi Contessi, il che rivela che non hanno il libro originale di quel Processo, non lo conoscono. Il secondo capitolo è un excursus storico filosofico che parte dal 2000 A.C., excursus che sarà pure dottissimo e interessante (per chi avrà la pazienza di leggerlo) ma che con “Il volo di Piatakov” c’entra come il cavolo a merenda. Gli altri 5 capitoli somigliano ad un giallo poliziesco sulle date del volo di Piatakov, dei documenti che comprovano l’atterraggio dell’aereo Berlino-Oslo ecc. (del resto gli autori confessano di essere “amanti dei gialli”).
Ma chi era Piatakov? Piatakov era un trotskista della prima ora, fu espulso dal Partito nel 1927 per attività frazionista nel gruppo di opposizione trotskista-zinovievista. Dopo qualche mese, avendo abiurato il suo passato, fu riammesso nel Partito. Nel 1931, in qualità di membro del Consiglio Superiore dell’Economia Nazionale e presidente della Direzione Centrale dell’Industria Chimica dell’URSS, ebbe un incontro clandestino, in Germania, con il figlio di Trotsky, Sedov, che gli propose, a nome del padre, di riprendere l’attività trotskista che aveva abbandonato nel 1927. Da quella data, avendo accettato l’invito di Trotsky, lavorò, insieme a Radek e Sokolnikov all’organizzazione di una super-segreta frazione trotskista, il “Centro parallelo”, che lavorava di concerto con due altri gruppi cospirativi, l’uno capeggiato da Zinoviev e Kamenev, l’altro da Bukharin e Rikov. L’interrogatorio di Piatakov occupa 66 pagine e due intere sessioni del secondo Processo (ed è sicuramente più avvincente di un romanzo giallo di 600 pagine), in cui descrive, per filo e per segno, con freddezza e lucidità e in termini politici, tecnici ed organizzativi, da uomo che ricopriva alte cariche di governo e di Stato, e sotto la sua personale direzione, i numerosi sabotaggi delle industrie del potassio, dell’azoto ecc., sabotaggi estesi a tutto il territorio dell’Unione Sovietica, dalla Siberia agli Urali all’Ucraina, sabotaggi che produssero danni ingenti ed anche perdite umane. Di tanto in tanto la Pubblica Accusa fa interrogatori incrociati per chiedere ulteriori delucidazioni agli altri della congiura (in particolare Radek e Rataichak) che confermano la veridicità delle affermazioni di Piatakov. Racconta che in qualità di membro del Consiglio superiore dell’Economia Nazionale, favorì due ditte tedesche indicategli da Trotsky a scapito di altre, le quali ditte, per il favore ottenuto, finanziarono lautamente il movimento trotskista in Europa e in URSS. Quanto ai suoi rapporti con Trotsky, Piatakov parla di una lettera supersegreta ricevuta nel 1933 da un emissario della congiura rientrato dalla Germania. In quella lettera Trotsky affermava che con l’avvento di Hitler al potere era chiaro che la sua tesi sulla impossibilità del socialismo in un solo paese era confermata, e che dunque un conflitto militare era inevitabile e che “se noi, trotskisti, desideravamo conservarci come forza politica in quanto tale, dopo aver assunto una posizione disfattista, non dovevamo essere osservatori passivi degli eventi, ma preparare attivamente la disfatta dell’URSS”.
Piatakov spiega anche nei dettagli come fu possibile, con l’intervento della Gestapo che gli fornì un passaporto falso ed un piccolo aereo per un viaggio Berlino-Oslo e ritorno dopo poche ore, il colloquio che ebbe faccia a faccia con Trotsky in un appartamento alla periferia di Oslo. Era l’anno 1935. Ecco che cosa disse Piatakov al Processo a tal riguado: “Fu allora che Trotsky, molto violentemente, e direi che non lo avevo mai sentito parlare in questo modo, formulò in maniera netta e precisa il suo punto di vista sul sabotaggio con parole rozze e grossolane. Dichiarò che era impossibile edificare il socialismo in un solo paese e che il crollo dello Stato staliniano era assolutamente inevitabile”. Ritornando al “Volo di Piatakov”, si tratta, in ogni caso, di un libro utile, soprattutto la copertina su cui campeggia il grugno di Trotski sovrastato dalla svastica, e il sottotitolo: “La collaborazione tattica tra Trotsky e i nazisti”. Ah, finalmente si allarga la cerchia dei compagni che hanno capito che Trotsky ha finito col diventare un agente della Germania nazista! Chi invece non lo ha capito ancora, è un semi-marxista giovane e presuntuoso, Alessandro Pascale, il quale entrando nella polemica fra i tre autori del “Volo di Piatakov” e il profetino disarmato Ferrando, scrive, niente di meno che: “Il ritratto offerto di Trotsky rimane dignitoso: un comunista sincero che aveva a cuore la salvezza delle conquiste della Rivoluzione d’Ottobre” …cose da pazzi! Ma voi capite? Trotsky voleva salvare le conquiste della rivoluzione d’Ottobre dal perfido Stalin che invece le voleva affossare. Il che dimostra che Pascale è un totale analfabeta in materia di storia della rivoluzione bolscevica e però vuole salire in cattedra! Poi aggiunge che la polemica di cui sopra “deve spingere ad una riflessione profonda tutti coloro che pensavano di avere le idee chiare sull’URSS e su Stalin, il che vale non solo per i giovani, ma forse ancor più per i compagni più “anziani” educati politicamente dopo il 1956, in un contesto denso di revisionismi storici e politici”. Quindi questo Pascale semi-marxista, semi-trotskista e semi-stalinista presuntuoso oltre ogni limite della decenza (ci ricorda un eroe dei fumetti infantili: Superbon dei Superboni) dice che i vecchi compagni (che militano dal 1966 nelle file dei marxisti leninisti) pensavano di avere le idee chiare, ma oggi è giunta l’ora che scuotano dalla loro testa le vecchie certezze perché oggi, a differenza di quel tempo offuscato da revisionismi, esiste il bagliore di giovani intelligenze che illumineranno il nuovo cammino e ci faranno pentire, noi anziani militanti, di aver urlato troppe volte “adda venì Baffone!”. Ci si poteva mai aspettare di meglio da uno che è stato fino a ieri nel comitato politico nazionale di rifondazione anticomunista e che ha assorbito, fin da quando era un ragazzino, come un neonato dalla tetta materna, l’implacabile e demenziale stalinofobia bertinottica? Non c’è alcun dubbio: per questo pascaliano Superbon dei Superboni, occorrerebbe quel pernacchio lungo e ben modulato di eduardiana memoria.
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