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Sul grado di sfruttamento dell’operaio da parte del capitalista
di Manuel Santoro
Nell’introdurre ciò che ci permetterà di quantificare il grado di sfruttamento dell’operaio da parte del capitalista, dobbiamo iniziare necessariamente dal concetto di capitale, e in particolar modo di capitale variabile. Ma prima di tutto, conosciamo già che il capitale in quanto lavoro accumulato, è scomposto in due componenti: capitale costante e capitale variabile. Vediamo ora queste due componenti un po' più da vicino.
Iniziamo con l’osservare il valore dell’oggetto finito o del prodotto finito dal punto di vista dell’operaio. L’operaio vendendo la propria forza-lavoro al capitalista per un salario, aggiunge valore all’oggetto all’interno della produzione attraverso l’atto del lavoro, o meglio attraverso una determinata quantità di tempo di lavoro.
Dall’altra parte, il valore dell’oggetto prodotto, dell’oggetto finito è anche composto dai valori delle materie prime, dai valori degli strumenti di produzione, dai valori delle materie ausiliarie, ovvero nel complesso dai valori dei mezzi di produzione usati. Questi valori vengono trasferiti nel processo di produzione, e conservati in parte attraverso tale trasferimento, direttamente nel prodotto finito attraverso la conversione o trasformazione dei mezzi di produzione in prodotto. Tale conversione è “mediata”, dice Marx nel Capitale, dall’atto del lavoro dell’operaio.
Da una parte, quindi, l’operaio crea nuovo valore attraverso l’atto del lavoro, dall’altro trasferisce valore nell’oggetto finito. Questa bilateralità del lavoro dell’operaio avviene contemporaneamente. Da una parte crea nuovo valore che diventa parte dell’oggetto prodotto; dall’altra trasferisce il valore dei mezzi di produzione nell’oggetto prodotto.
Senza la forza-lavoro dell’operaio, la macchina per filare rimarrebbe macchina per filare; la tessitrice rimarrebbe tessitrice. In altre parole, il lavoro accumulato rimarrebbe lavoro accumulato e non capitale. Ma tramite il contatto con la forza-lavoro dell’operaio, il lavoro accumulato diventa capitale e nel tempo di lavoro che l’operaio dedica al processo di produzione dell’oggetto, egli aggiunge nuovo valore. Il nuovo valore, quindi, dipende, nel suo ammontare, dal tempo di lavoro che l’operaio dedica a quella determinata produzione.
Abbiamo detto che il valore dei mezzi di produzione viene trasferito nel valore dell’oggetto prodotto; ciò implica che la forma dei valori d’uso dei mezzi di produzione usati trapassa e una nuova forma di valori d’uso emerge con l’oggetto finito. Ovvero, i valori dei mezzi di produzione vengono trasferiti mentre la loro forma di valori d’uso si trasforma nell’oggetto prodotto.
Scrive Marx che “il filatore aggiunge tempo di lavoro solo filando, il tessitore solo tessendo, il fabbro battendo il ferro. Ma i mezzi di produzione, cotone e fuso, refe e telaio, ferro e incudine, diventano elementi costitutivi d'un prodotto, d'un nuovo valore d'uso, appunto mediante la forma idonea a un fine nella quale filatore, tessitore, fabbro aggiungono lavoro in genere e quindi nuovo valore. La vecchia forma del loro valore d'uso trapassa, ma soltanto per passare in una nuova forma di valore d'uso.” In altre parole, se considerassimo come lavoro accumulato il cotone (materia prima) e la macchina per filare il cotone (strumento di produzione), il lavoro del filatore consisterebbe nel produrre il filo. I valori del cotone e della macchina per filare si traferiscono nel valore del filo, ma i valori d’uso di cotone e filatrice trapassano (come forma) per riemergere in una nuova forma di valore d’uso: quella del filo. È assolutamente evidente come il valore d’uso del cotone sia diverso dal valore d’uso del filo. Ma i mezzi di produzione in quanto lavoro accumulato sono valori precedentemente generati. Il tempo di lavoro necessario per la produzione dei valori d’uso che andranno ad essere consumati nel nuovo processo produttivo, costituiscono una parte del tempo di lavoro necessario per la produzione del nuovo valore d’uso. In altre parole, il tempo di lavoro necessario per la produzione del cotone, della filatrice e di ciò che serve per la produzione del filo, costituisce una parte del tempo di lavoro necessario per la produzione del filo stesso. Che, a sua volta, costituisce una parte del tempo di lavoro necessario per la produzione del tessuto.
Scrive difatti Marx che “quel che vien trasferito dal mezzo di produzione consumato al nuovo prodotto, è il tempo di lavoro. Dunque l'operaio conserva i valori dei mezzi di produzione consumati, cioè li trasferisce nel prodotto come parti costitutive del valore, non attraverso la sua aggiunta di lavoro in genere, ma attraverso il carattere utile particolare, attraverso la forma produttiva specifica di questo lavoro aggiuntivo.”
I valori dei mezzi di produzione vengono trasferiti nell’oggetto prodotto; la forma dei valori d’uso cambia, poiché la forma dei valori d’uso del lavoro accumulato trapassa e una nuova forma del valore d’uso dell’oggetto prodotto emerge; il tempo di lavoro necessario per la produzione di un oggetto (cotone – filo; filo – tessuto) contiene il tempo di lavoro necessario per la produzione dei mezzi di produzione necessari per la produzione del nuovo oggetto. La forza-lavoro dell’operaio trasferisce, quindi, i valori dei mezzi di produzione nell’oggetto finito (da cotone e filatrice a filo); è artefice del trapasso di vecchie forme di valori d’uso (cotone e filatrice) e, nel processo produttivo, rimane artefice dell’emergere di nuove forme di valori d’uso (filo); aggiunge tempo di lavoro ai tempi di lavoro che sono stati necessari per produrre i mezzi di produzione, per produrre il nuovo oggetto finito. Scrive Marx: “con l'aggiunta semplicemente quantitativa di lavoro si aggiunge nuovo valore, con la qualità del lavoro aggiunto vengono conservati nel prodotto i vecchi valori dei mezzi di produzione.”
Nel processo di produzione, quindi, abbiamo il convergere di fattori che vanno a costituire il valore dell’oggetto prodotto, dell’oggetto finito. L’avanzo in quanto differenza positiva tra il valore dell’oggetto finito e la somma dei valori entrati nel processo di produzione è l’avanzo del capitale valorizzato al termine del processo di produzione sul valore del capitale anticipato. I mezzi di produzione da una parte, la forza-lavoro dall'altra, sono solo le componenti del capitale anticipato, iniziale, investito potremmo dire, in quanto forma trasformata da quella del denaro.
La parte del capitale che si materializza in mezzi di produzione, ovvero in materie prime, materiali ausiliari e strumenti di lavoro, non cambia i propri valori all’interno della produzione. Ciò è il capitale costante. La parte del capitale che si materializza in forza-lavoro è capitale variabile poiché cambia il proprio valore nella produzione. Oltre a riprodurre se stesso attraverso il consumo di mezzi di sussistenza, produce plusvalore.
All’interno dei processi di produzione abbiamo, quindi, i mezzi di produzione e la forza-lavoro la cui iterazione rende il lavoro accumulato capitale, il quale dal punto di vista dei valori e della valorizzazione all’interno del processo produttivo, si divide in capitale costante e capitale variabile.
Consideriamo ora come capitale anticipato la somma tra il capitale costante e capitale variabile, ovvero denaro convertito, o speso, in mezzi di produzione e denaro convertito, o speso, in forza-lavoro. Abbiamo detto che l’avanzo tra il valore dell’oggetto finito e la somma dei valori entrati nel processo di produzione costituisce il plusvalore. Detto in altri termini, il plusvalore costituisce la valorizzazione del capitale anticipato e si presenta, scrive Marx, “in un primo momento come eccedenza del valore del prodotto sulla somma dei valori degli elementi della sua produzione.” Ma solo in un primo momento.
Il capitale valorizzato al termine della produzione è uguale alla somma del capitale costante più capitale variabile, più plusvalore. Ma dato che il valore del capitale costante viene trasferito nel prodotto, e dato che è la forza-lavoro a generare plusvalore, il plusvalore è conseguenza del cambiamento di valore nel capitale variabile. Il plusvalore è quindi legato al lavoro, ed è prodotto dalla forza-lavoro.
Supponiamo che l’operaio usi solo gli elementi presenti in natura, senza mezzi di produzione. Oppure, come riporta Marx, “se per esempio qualcuno vuol calcolare il guadagno dell’Inghilterra nell’industria cotoniera, per prima cosa sottrae il prezzo del cotone pagato agli Stati Uniti, all’India, all’Egitto, ecc.; cioè pone eguale a zero il valore di capitale che non fa che ripresentarsi nel valore di prodotto.” Su ciò rimarchiamo che quando studieremo il Capitale entreremo un po’ più nel dettaglio relativamente al trasferimento dei valori poiché “la parte del capitale costante impiegato consistente di mezzi di lavoro cede al prodotto solo una porzione del suo valore mentre l’altra porzione continua a esistere nella vecchia forma.” Ciò non modifica la nostra esposizione. Poniamo, quindi, di considerare l’azzeramento del valore del capitale costante. Non ci sarebbe allora nessun trasferimento di valore dalla parte costante del capitale. Avremmo, quindi, solo capitale variabile anticipato che si trasforma in capitale variabile anticipato più plusvalore. Il capitale valorizzato sarebbe quindi uguale alla somma del capitale variabile più l’incremento di capitale variabile. Anche senza capitale costante, quindi, senza alcun anticipo di denaro da parte del capitalista per l’acquisto dei mezzi di produzione, abbiamo plusvalore. Il plusvalore viene quindi tutto e completamente dall’operaio, dalla sua forza-lavoro all’interno della produzione. Scrive Marx che “il reale cambiamento di valore e il rapporto secondo il quale il valore cambia, vengono oscurati per il fatto che in conseguenza della crescita della sua componente variabile, cresce anche il capitale complessivo anticipato.” Questo punto è importante poiché la borghesia gioca sul fatto che la valorizzazione del capitale dipenda anche dal capitale costante immesso nella produzione, ma abbiamo visto che ciò non è assolutamente vero. Continuiamo a porre uguale a zero il valore del capitale costante. Abbiamo visto che il capitale anticipato è capitale variabile anticipato il quale viene trasformato in capitale valorizzato il quale è di fatto capitale variabile più l’incremento di capitale variabile o plusvalore.
La domanda quindi è: quanto plusvalore esce dalla produzione rispetto al capitale variabile? O meglio, quanto plusvalore si crea a parità di capitale variabile anticipato? Il saggio del plusvalore è uguale al rapporto tra plusvalore e capitale variabile. Se tale rapporto è uguale a zero, allora ciò implica che il plusvalore è zero e nel processo produttivo non ci è stata valorizzazione del capitale variabile. Se per esempio, il rapporto è uguale a 1, il plusvalore prodotto dall’operaio risulta uguale al capitale variabile anticipato. Per unità di capitale variabile anticipato, ci ritroviamo una unità di plusvalore. È molto importante ricordarsi che il saggio del plusvalore non è il rapporto tra il plusvalore e tutto il capitale (cioè sarebbe il saggio di profitto), ma il rapporto tra il plusvalore e il capitale variabile.
Per comprendere meglio, consideriamo il tempo di lavoro dell’operaio. Dopotutto, il capitale variabile è l’investimento in denaro che il capitalista fa nel comprare la forza-lavoro dell’operaio. E tale investimento equivale ai mezzi di sussistenza necessari alla riproduzione dell’operaio in quanto classe. Sappiamo che il salario è il prezzo della forza-lavoro il quale è in media uguale ai suoi costi di produzione; e i costi di produzione dell’operaio corrispondono a ciò che necessità l’operaio per la vita e la riproduzione in termini di mezzi di sussistenza. Il tempo di lavoro nella produzione da parte dell’operaio varia a seconda dei valori medi dei mezzi di sussistenza che gli sono necessari, dunque a seconda del tempo di lavoro medio richiesto per la loro produzione. Scrive Marx che “se il valore dei mezzi di sussistenza quotidiani dell’operaio rappresenta in media 6 ore lavorative oggettivate, l’operaio deve lavorare in media 6 ore al giorno per poterlo produrre.”
Supponendo che in denaro queste 6 ore di lavoro corrispondano a 36 euro in quanto valore in denaro della forza-lavoro, l’operaio lavora queste 6 ore e intasca come salario questi 36 euro come anticipo da parte del capitalista. Il capitale variabile dopo la produzione sarebbe uguale in valori al capitale variabile prima della produzione. Quindi, il lavoro dell’operaio, scrive Marx, “non fa che reintegrare il valore variabile di capitale anticipato, quella produzione di valore si presenta come pura e semplice riproduzione.”
Marx definisce come “tempo di lavoro necessario” la parte della giornata lavorativa nella quale si svolge questa riproduzione, e definisce come “lavoro necessario” il lavoro fatto durante questa parte della giornata lavorativa. Necessario affinché l’operaio non crepi; necessario per il capitalista affinché non ci sia carenza di operai. L’operaio, quindi, lavora il tempo necessario per coprire i propri bisogni legati alla vita e alla riproduzione. Ma lavora anche oltre. Lavora, ovvero, oltre i limiti del lavoro necessario senza che riceva un compenso in salario. Ovvero, crea plusvalore: pluslavoro che regala al capitalista e che il capitalista intasca come plusvalore. Marx definisce “tempo di lavoro superfluo” questa parte della giornata lavorativa, oltre il tempo di lavoro necessario e “pluslavoro” appunto, il lavoro compiuto in questo tempo di lavoro superfluo.
Il tempo che l’operaio dedica al lavoro si costituisce quindi in tempo di lavoro necessario e tempo di lavoro superfluo. Il lavoro compiuto dall’operaio dentro l’intero tempo del lavoro si divide in lavoro necessario e pluslavoro. Il valore del capitale variabile si trasforma in capitale variabile (che equivale al valore della forza-lavoro acquistata) e plusvalore. Quindi, il plusvalore sta al capitale variabile nello stesso rapporto che il pluslavoro sta al lavoro necessario; cioè il saggio del plusvalore è sì rapporto tra plusvalore e capitale variabile ma anche, in quanto equivalente, tra pluslavoro e lavoro necessario.
Scrive Marx che “i due rapporti esprimono la stessa relazione in forma differente.” Quindi, il saggio del plusvalore è l’espressione esatta del grado di sfruttamento della forza-lavoro da parte del capitalista. Il grado di sfruttamento dell’operaio da parte del capitalista. Più è alto il saggio del plusvalore, più è alto il grado di sfruttamento della forza-lavoro poiché più è alto il plusvalore per unità di capitale variabile.
Per calcolare il saggio di plusvalore, Marx ci indica una breve procedura: “prendiamo il valore intero del prodotto e poniamo eguale a zero il valore costante del capitale, il quale non fa altro che ripresentarsi nel valore del prodotto. La residua somma di valore è l’unico prodotto in valore realmente generato nel processo di formazione della merce. Se il plusvalore è dato, lo sottraiamo da questo prodotto di valore per trovare il capitale variabile. Viceversa, quando è dato il capitale variabile, e noi cerchiamo il plusvalore. Quando siano dati l’uno e l’altro, c’è da compiere soltanto l’operazione conclusiva, cioè da calcolare il rapporto fra il plusvalore e il capitale variabile.”
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