- Scritto da Manuel Santoro
- Pubblicato in Teoria
- Letto 711 volte
- dimensione font riduci dimensione font aumenta la dimensione del font
- Stampa
Tra saggio del plusvalore e saggio del profitto
di Manuel Santoro
Abbiamo discusso in passato del capitale e del saggio del plusvalore. Oggi ci addentriamo meglio nella questione discutendo della formula generale del capitale e del saggio del profitto. Prima di arrivare alla formula che costituisce di fatto il flusso, l’essenza del capitale, consideriamo il periodo precapitalistico.
Sappiamo che i primi elementi della borghesia emergono in Europa sin dal basso medioevo, per esempio in Italia, e ciò porta Engels nella prefazione italiana al Manifesto del partito comunista a dichiarare che l’Italia è stato il primo paese capitalistico. Con l’emersione di categorie sociali quali i mercanti, i commercianti e lo sviluppo del commercio, si sviluppano gli elementi che poi andranno a costituire i presupposti dell’esistenza del capitale. È utile per noi ricordare ciò che Marx ed Engels scrivono nel Manifesto del partito comunista, ovvero:
La scoperta dell'America, la circumnavigazione dell'Africa crearono alla sorgente borghesia un nuovo terreno. Il mercato delle Indie orientali e della Cina, la colonizzazione dell'America, gli scambi con le colonie, l'aumento dei mezzi di scambio e delle merci in genere diedero al commercio, alla navigazione, all'industria uno slancio fino allora mai conosciuto, e con ciò impressero un rapido sviluppo all'elemento rivoluzionario entro la società feudale in disgregazione.
L'esercizio dell'industria, feudale o corporativo, in uso fino allora non bastava più al fabbisogno che aumentava con i nuovi mercati. Al suo posto subentrò la manifattura. Il medio ceto industriale soppiantò i maestri artigiani; la divisione del lavoro fra le diverse corporazioni scomparve davanti alla divisione del lavoro nella singola officina stessa.
Ma i mercati crescevano sempre, il fabbisogno saliva sempre. Neppure la manifattura era più sufficiente. Allora il vapore e le macchine rivoluzionarono la produzione industriale. All'industria manifatturiera subentrò la grande industria moderna; al ceto medio industriale subentrarono i milionari dell'industria, i capi di interi eserciti industriali, i borghesi moderni.
Quindi, da una economia feudale o corporativa si passa ad una economia manifatturiera e infine ad una economica capitalistica. Ciò che ci interessa è in particolare il passaggio dall’economia mercantilista a quella fisiocratica per arrivare al capitalismo. Scrive difatti Marx che “dal punto di vista storico, il capitale si contrappone dappertutto alla proprietà fondiaria nella forma di denaro, come patrimonio in denaro, capitale mercantile e capitale usuraio”, e il denaro è la prima forma nella quale si presenta il capitale.
Consideriamo ora la forma della circolazione semplice delle merci M-D-M, circolazione precapitalistica. Ovvero, trasformazione di merce in denaro, tramite la vendita, e tramite il denaro ottenuto, l’acquisto di altra merce. In definitiva, vendere per comprare. La circolazione semplice delle merci comincia con la vendita e finisce con l’acquisto. In questa forma, la circolazione complessiva è mediata dal denaro che è nel mezzo tra le due M (merci). Un esempio di circolazione semplice delle merci è il contadino che vende una certa quantità di grano, riceve il denaro con il quale egli può comprare vestiti per se stesso e la propria famiglia. Il denaro media nella circolazione tra grano e vestiti. In effetti, qui si ha lo scambio di merce contro merce. In altre parole, nella circolazione semplice delle merci M-D-M, il contadino vende per acquistare e di conseguenza il denaro che media tra le due merci viene speso.
La forma della circolazione del capitale, invece, è D-M-D, ovvero acquisto di merce tramite il denaro e rivendita della merce per ottenere denaro. Trasformazione di denaro in merce e nuova trasformazione di merce in denaro, comprare per vendere. In questo caso non è il denaro a mediare, dentro la circolazione, tra le due merci ma è la merce a mediare tra il denaro prima e il denaro dopo il ciclo. Qui si ha lo scambio di denaro contro denaro. In altre parole, nella circolazione del denaro, il capitalista acquista per poi vendere e di conseguenza il denaro viene qui anticipato.
Nella forma della circolazione semplice delle merci è il denaro ad essere scambiato in quanto mediatore; nella forma della circolazione del capitale è la merce ad essere scambiata in quanto mediatrice.
Nel caso della formula M-D-M, come esempio, se il contadino vende 1 quintale di grano per 50€ (consideriamo l’euro per facilitare la comprensione) e con questi 50€ compera i vestiti per la famiglia, i 50€ sono spesi definitivamente. Il contadino non ha più niente a che fare con essi. Sono del commerciante di vestiti. Ma nel caso ci fosse una nuova vendita di un secondo quintale di grano, il denaro riaffluirebbe al contadino, però non in seguito alla prima transazione, ma soltanto in seguito alla ripetizione di essa. Appena il contadino porta a termine la seconda transazione e fa una nuova compera di vestiti o di altro, il denaro si allontana di nuovo in modo definitivo dal contadino. Non vi è quindi ritorno di denaro in questo caso, anzi vi è un completo trapasso da una mano all’altra. Il contadino, quindi, vende valori d’uso per acquistare altri valori d’uso poiché il suo fine è il consumo dei vestiti attraverso la vendita del grano; è la soddisfazione di bisogni attraverso l’utilità, il valore d’uso appunto, dei vestiti a parità di grandezza di valore per lo scambio. In mano al contadino rimane lo stesso valore, cioè la stessa quantità di lavoro sociale oggettivato, nella forma, prima, della sua merce, poi del denaro nel quale si trasforma, infine della merce nella quale questo denaro si ritrasforma. Questo cambiamento di forma della merce, scrive Marx, non implica nessuna mutazione della grandezza di valore. Avviene uno scambio tra equivalenti, quindi, non vi è alcuna valorizzazione di valore.
Inoltre, scrive Marx che “nella circolazione semplice delle merci i due estremi hanno la stessa forma economica. Entrambi sono merce. E sono anche merci della stessa grandezza di valore. Ma sono valori d'uso qualitativamente differenti, per esempio, grano e vestiti.” Valori d’uso, quindi, qualitativamente differenti.
Nella forma D-M-D, invece, vi è il ritorno del denaro al punto di partenza poiché qui vi è un anticipo di denaro per comprare la merce la quale viene rivenduta in cambio di denaro. Il denaro all’inizio e alla fine del ciclo è semplicemente denaro e quindi non associabile a determinati valori d’uso qualitativamente distinti poiché la forma denaro corrisponde al valore di una merce il cui valore d’uso però è definitivamente estinto.
Naturalmente, non avrebbe alcun senso anticipare una certa quantità di euro per una determinata merce e rivendere la stessa merce per la stessa quantità di euro. Tanto vale tenersi in tasca il denaro senza introdurlo nella circolazione.
Il denaro all’inizio del ciclo si differisce rispetto al denaro alla fine del ciclo solo per il suo ammontare, la sua grandezza quantitativa. Perciò, affinché si dia un senso alla formula D-M-D, il denaro che si intasca al termine del ciclo deve essere diverso, e maggiore, quantitativamente rispetto al denaro introdotto con l’acquisto di merce. La formula D-M-D è quindi D-M-D’ dove D' = D + ΔD, cioè è uguale alla somma di denaro originariamente anticipata, più un incremento. Marx definisce plusvalore questo incremento, ossia questa eccedenza sul valore originario. Ricordiamo che il plusvalore si materializza grazie all’atto del lavoro da parte della forza-lavoro; è la valorizzazione del capitale variabile rispetto al capitale variabile anticipato. In altre parole, è plus-lavoro, ovvero lavoro non remunerato che l’operaio compie gratis, che il capitalista intasca in termini di valore, in termini di denaro. Il plusvalore, quindi, nasce esclusivamente dal lavoro salariato, e il merito del capitalista è uguale a zero.
Scrive, quindi, Marx che “nella circolazione il valore originariamente anticipato non solo si conserva, ma in essa altera anche la propria grandezza di valore, aggiunge un plusvalore, ossia si valorizza. E questo movimento lo trasforma in capitale. Il processo che produce questa maggiore somma di valore è la produzione capitalistica; il processo che realizza questa maggiore somma di valore è la circolazione del capitale.”
Se come esempio, supponessimo di introdurre nella circolazione un quota di denaro pari a 24.000€ con la quale si compra della merce che viene utilizzata per il processo produttivo, e al suo termine la vendita permettesse un ritorno di denaro pari a 26.400€ di cui 2.400€ di plusvalore, potremmo spendere questo denaro maggiorato e in tal modo smetterebbe di essere capitale oppure potremmo riutilizzarlo per ripetere il ciclo di valorizzazione partendo da una somma di denaro di 26.400€ invece di 24.000€. Il termine di un ciclo D-M-D’ costituisce, quindi, l’inizio di un nuovo ciclo e ciò avviene in modo perpetuo. Mentre nella circolazione semplice delle merci il fine è sempre l’acquisto di valori d’uso per la soddisfazione di bisogni precisi, nella circolazione del capitale il fine è il perpetuo rinnovo maggiorato del capitale stesso e ciò può avvenire solo dentro la circolazione. Riprendendo Marx: “il valore d'uso non dev’essere mai considerato fine immediato del capitalista. E neppure il singolo guadagno: ma soltanto il moto incessante del guadagnare.”
Colui che possiede il capitale compra la merce, produce nuova merce non per il suo valore d’uso né per il consumo personale ma solo per produrre valore aggiunto, incremento di valore, eccedenza di valore che il prodotto finito ha sulla somma dei valori del capitale anticipato. Colui che fa tutto ciò è naturalmente il capitalista, il quale anticipa il capitale e grazie alla forza-lavoro nella produzione che riproduce tale capitale più un’eccedenza di valore, il capitalista si arricchisce e può nuovamente riattivare il ciclo con un capitale anticipato maggiorato. Scrive Marx che il capitalista può “convertire in più elevato valore, il valore del capitale variabile anticipato solo mediante lo scambio di quest’ultimo con lavoro vivente, mediante sfruttamento di lavoro vivente.” Di conseguenza, il capitalista può sfruttare la forza-lavoro, la capacità di generazione di valore da parte della forza-lavoro dell’operaio, soltanto se anticipa tutto ciò che serve per l’atto del lavoro, della produzione, ovvero il capitale costante e il capitale variabile. Ciò rimane solo un anticipo e niente più. Il valore aggiunto a tale anticipo viene creato dalla forza-lavoro, dall’operaio.
Trattando del saggio del plusvalore, abbiamo visto come il plusvalore sia la valorizzazione del capitale variabile. Nella vita reale, il capitalista può sfruttare il lavoro dell’operaio se l’operaio si ritrova tra le mani i mezzi su cui trasferire la propria forza-lavoro, ovvero il capitale costante. Ciò non toglie, però, che supponendo il valore del capitale costante pari a zero, sia sempre possibile creare plusvalore da parte della forza-lavoro poiché tale valorizzazione avviene sul capitale variabile anticipato.
Di conseguenza, per lo sfruttamento dell’operaio e la valorizzazione del capitale, il capitalista deve anticipare risorse per la quota costante e variabile del capitale. Per il capitalista, l’anticipo di denaro per il capitale costante è equivalente da un punto di vista pratico all’anticipo per il capitale variabile; entrambi sono componenti del capitale da anticipare per consentire lo svolgimento dell’atto della produzione. La misura reale del profitto da parte del capitalista è quindi data dal rapporto tra il plusvalore e la totalità del capitale anticipato, e ciò si chiama saggio del profitto.
Scrive Marx che “il valore contenuto nella merce è uguale alla durata del lavoro che la produzione della merce costa, e il complesso di tale lavoro consiste di una parte pagata e di una non pagata. I costi della merce per il capitalista consistono invece soltanto della parte del lavoro in essa oggettivato che egli ha pagato.” Il plusvalore è il delta, la differenza, la quota parte di lavoro non pagata all’operaio e che, quindi, non costa nulla al capitalista. Quindi, il profitto del capitalista deriva dal fatto che egli ha da vendere qualcosa che non ha pagato. Il profitto è nella differenza tra il prezzo di vendita dell’oggetto prodotto e il prezzo di costo dello stesso oggetto. Non entreremo ora nella questione di quale possa essere il prezzo di vendita di una merce; se uguale, maggiore o minore al valore della merce stessa. Supporremo che il prezzo di vendita della merce coincida con il valore in denaro della merce stessa.
Scrive Marx che “il plusvalore, e rispettivamente il profitto, consiste proprio nell’eccedenza del valore della merce sul prezzo di costo, vale a dire nell’eccedenza della somma complessiva di lavoro incorporata nella merce rispetto alla quantità di lavoro pagato che la merce contiene.”
Il saggio del profitto esprime il grado di valorizzazione dell’intero capitale anticipato.
Continua Marx: “Plusvalore e saggio del plusvalore sono, in senso relativo, l’invisibile, l’essenziale da scoprire, mentre il saggio del profitto e quindi il profitto, forma del plusvalore, si mostrano alla superficie del fenomeno.”
Ciò che interessa l’operaio è naturalmente il plusvalore e, quindi, il saggio del plusvalore. Al capitalista, invece, il saggio del profitto. Anzi, il capitalista cerca in tutti i modi di confondere, oscurare, coprire, le variabili che permettono di calcolare il saggio del plusvalore e, quindi, il grado di sfruttamento dell’operaio da parte del capitalista. La retorica della classe dominante, ahimè assorbita senza alcuna critica da parte dei lavoratori, è che esista il contributo del capitalista nella creazione del valore aggiunto al termine del ciclo produttivo. Come abbiamo riportato, ciò è totalmente falso. È la forza-lavoro dell’operaio a creare il plusvalore in quanto valore del tempo di lavoro non remunerato, non pagato da parte del capitalista che il capitalista intasca in forma di denaro, rubandolo a mani basse all’operaio stesso.